Popoli indigeni e COP26

3 novembre 2021

I popoli indigeni giocano un ruolo cruciale nella lotta ai cambiamenti climatici. Le loro terre proteggono l’80% della biodiversità mondiale e – dalla lotta agli incendi in Amazzonia alla marcia contro le miniere di carbone – mettono in gioco le loro vite per fermare la distruzione ambientale. Mentre sono in corso i negoziati alla COP26, ecco tre temi chiave sulla centralità e problematicità della questione indigena.


Boom di attività minerarie in India: gli Adivasi sotto attacco

Tra i temi più dibattuti dell’agenda della COP26 c'è la necessità urgente per tutti i paesi di tagliare le proprie emissioni di CO2, e questo rende ancora più sbalorditivo quanto sta accadendo in India.

Nell’ambito del piano del Primo Ministro Narendra Modi per rendere l’India un paese auto-sufficiente dal punto di vista energetico, infatti, le compagnie minerarie statali e private stanno perseguendo un’espansione senza precedenti dell’estrazione del carbone nelle foreste indigene dell’India centrale. La portata è impressionante:

- sono state pianificate 55 nuove miniere
- 193 miniere esistenti saranno ampliate
- la produzione è destinata ad aumentare a un miliardo di tonnellate l’anno in tutto il paese

Nell’inestimabile foresta di Hasdeo (stato di Chhattisgarh), una delle più grandi aree di foresta rimaste intatte nel paese, 10.000 Gond, Oraon e altri Adivasi (indigeni) stanno mettendo in atto una disperata resistenza per salvare le loro terre, i loro mezzi di sussistenza e la foresta sacra. Nella terra adivasi è già stata costruita una grande miniera a cielo aperto, PEKB, e molto presto potrebbe iniziare la costruzione di un’altra, Parsa. Di recente, centinaia di Adivasi hanno marciato per 300 km verso la capitale dello stato per protestare.

 

Gli Adivasi (indigeni) della foresta di Hasdeo hanno protestato in occasione del compleanno di Gandhi per difendere i loro diritti costituzionali. Villaggio di Fateppur, Chhattisgarh, India. © Vijay Ramamurthy


Soluzioni Basate sulla Natura (NBS) e 30x30

L’idea che le Soluzioni Basate sulla Natura (NBS) possano dare un grande contributo alla lotta ai cambiamenti climatici viene promossa con forza da governi, aziende e grandi ONG della conservazione. Ma il movimento di dissenso contro queste Soluzioni è in continua crescita.

Molte di queste Soluzioni sono di fatto progetti di compensazione del carbonio (carbon offset), a cui è stato semplicemente cambiato il nome. Molti popoli indigeni si oppongono fermamente a questi piani, che permettono di vendere e acquistare le loro terre consentendo così alle aziende più inquinanti al mondo di continuare a inquinare.

Tra le Soluzioni Basate sulla Natura vi sono notoriamente iniziative come piantare alberi, ripristinare ecosistemi, preservare torbiere e fertilizzare artificialmente gli oceani allo scopo di assorbire anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera. Ma forse il più conosciuto è probabilmente l’obiettivo del 30% (o 30X30): il piano promosso da governi, ONG e dalla “High Ambition Coalition for Nature and People”– a cui ha aderito anche l’Italia – per trasformare il 30% della Terra in Aree Protette entro il 2030, raddoppiando la superficie attuale.

Ma creare Aree Protette nelle terre abitate dai popoli indigeni e dalle comunità locali ne causa spesso lo sfratto e la persecuzione, come è accaduto – ad esempio – nella grande maggioranza delle Aree Protette in Africa e in Asia. Premere per più Aree Protette causerà ulteriori furti di terra, omicidi, torture e abusi. E non salverà il pianeta.

Survival International lavora in India con le comunità indigene sfrattate per far spazio alle Riserve delle Tigri e nel Bacino del Congo, dove i Baka, i Bayaka e altri popoli indigeni sono stati derubati delle loro terre per creare una vasta rete di Aree Protette.

NOTA: Per richiedere il briefing più dettagliato sul tema, dal titolo “Soluzioni Basate sulla Natura (NBS): false soluzioni ai cambiamenti climatici, ma problemi reali per i popoli indigeni e le comunità locali”, scrivere a ufficiostampa@survival.it

 

I Jenu Kuruba protestano davanti al Parco Nazionale di Nagarhole in India da cui sono stati sfrattati nel nome della “conservazione”.© Survival


Distruzione dell’Amazzonia = genocidio dei popoli indigeni

Le foreste di proprietà e controllate dai popoli indigeni e dalle comunità locali stoccano circa 37,7 milioni di tonnellate di carbonio, 29 volte più delle emissioni annuali prodotte dalle auto.

La rapida distruzione dell’Amazzonia negli anni recenti è ben nota. Il Presidente Bolsonaro sta stracciando le regolamentazioni ambientali e promuove il suo piano per aprire i territori indigeni ad attività estrattive, taglio del legno e allevamenti. Solo tra marzo e maggio 2020, il governo ha approvato 195 atti esecutivi, comprese ordinanze, decreti e altre misure, volte a aggirare o smantellare direttamente o indirettamente le leggi ambientali.

 

Baita e Tamandua Piripkura, fotografati durante un incontro con una unità del FUNAI. I due uomini, che sono zio e nipote, avevano avuto sporadiche interazioni con la squadra locale del FUNAI, ma poi sono tornati a vivere isolati nella foresta. Sono tra gli ultimi sopravvissuti del loro popolo. © Bruno Jorge

 

- Il territorio dei Piripkura è protetto da un’ordinanza di protezione territoriale che è appena stata rinnovata per sei mesi. Queste ordinanze di emergenza sono utilizzate per proteggere i territori delle tribù incontattate per le quali non è in corso il lungo processo di demarcazione ufficiale. Proteggono sette territori di tribù incontattate e un milione di ettari di foresta pluviale, ma gli allevatori e i politici anti-indigeni hanno un piano segreto per smantellarle e rubare così le loro terre per l’allevamento, il taglio del legno, attività estrattive e molto altro. Se dovessero avere successo, il piano causerebbe lo sterminio di intere tribù e un furto di terra illegale e massiccio.

- Gli Yanomami, che vivono al confine tra Brasile e Venezuela, gestiscono la più vasta area di foresta tropicale sotto controllo indigeno al mondo. Sono anche tra i più colpiti dalla retorica di Bolsonaro in favore delle attività minerarie: nel loro territorio in Brasile, circa 20.000 cercatori d’oro illegali distruggono la foresta, inquinano i loro fiumi e diffondono malattie. Le bande criminali sono sempre più attive: controllano il traffico d’oro e terrorizzano gli Yanomami nell’impunità.

Il destino dell’Amazzonia sarà in primo piano alla COP26. Questi e altri casi simili mostrano quanto i suoi popoli indigeni, e le loro lotte per proteggere i propri territori, siano determinanti per il futuro della foresta.
 
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