GENIALITÀ ED ALTRUISMO MORTIFICATI DA CONTRASTANTI INTERESSI

 

LE ALTERNE VICENDE DEL CONTE CESARE MATTEI, TRA

INNOVATIVA ELETTROMEOPATIA E CURIOSA “ROCCHETTA”

 

Dall’edificazione d’un eccentrico “gioco architettonico” (con evidenze moresche) nell’Appennino bolognese

alla scoperta d’una nuova scienza medica empirica, cocktail (dagli ingredienti forse tuttora segreti) d’omeopatia,

elettricità, fitoterapia, alchimia, magnetismo – Una parabola senza lieto fine ma oggi recuperata in un archivio museo

 

di Claudio Beccalossi

 

Rocchetta Mattei 

Conte Cesare Mattei

 

“Rocchetta Mattei”, Savignano di Grizzana Morandi (Bologna) – Deviando dalla SS 64 (Strada statale “Porrettana”) che congiunge il Bolognese con il Pistoiese, è difficile non restare ammirati o sbigottiti al veder stagliarsi davanti alle rotondeggianti alture appenniniche uno strano “gioco pluristilistico” più da Disneyland che da dimora nobiliare. Si tratta della “Rocchetta Mattei”, eclettica realizzazione ottocentesca con palesi tracce moresche, situata nei pressi delle frazioni Ponte e Savignano di Grizzana Morandi, comune, quest’ultimo, di 3.921 abitanti (a fine dicembre 2014) a 547 m s.l.m., in provincia di Bologna. Si chiamava solo Grizzana fino al 1985, anno in cui fu modificato il toponimo aggiungendovi il cognome dell’artista Giorgio Morandi (pittore ed incisore, Bologna, 20 luglio 1890 – Bologna, 18 giugno 1964) che era solito soggiornarvi.

L’eventuale puntatina verso i laghi di Suviana e di Brasimone, dunque, deve vedersela con la particolare realizzazione dell’ingegno creativo della “Rocchetta Mattei”, il maniero edificato tra il 1850 ed il 1875 per volere del conte Cesare Mattei sui resti della rocca di Savignano, risalente al Duecento e distrutta nel 1293 (di competenza degli imperatori Federico il Barbarossa ed Ottone IV, dominio della contessa Matilde di Canossa che l’affidò ad un vassallo, Lanfranco da Savignano), con annessi chiesa e cimitero, poco lontano dall’immissione del torrente Limentra inferiore (o Limentra orientale) nel fiume Reno.

Il conte Mattei nacque a Bologna l’11 gennaio 1809 da Teresa Montignani e Luigi, famiglia benestante di origini ferraresi e, crescendo, frequentò alcuni intellettuali di spicco (come Paolo Costa, Marco Minghetti, Antonio Montanari e Rodolfo Audinot), maturando idee liberali ma restando un moderato, avverso a qualsiasi estremismo. Nel 1823 la famiglia Mattei allargò le proprietà con l’acquisizione della fortezza di Magnavacca (ora Porto Garibaldi), nelle pertinenze di Comacchio, con annessi territori. Dopo essere stato, nel 1837, tra i cento fondatori della Cassa di Risparmio in Bologna, fu polemico e critico, in occasione della scomparsa della madre, nel 1844, nei confronti della medicina classica dell’epoca che, secondo lui, non dimostrò alcuna efficacia.

Nel 1847 Cesare ed il fratello Giuseppe donarono a Papa Pio IX (nato Giovanni Maria Mastai Ferretti, Senigallia, 13 maggio 1792Roma, 7 febbraio 1878) i loro possedimenti posti nel canale della Magnavacca, mezzo di collegamento di Comacchio col mare ed argine naturale da questo delle fortezze di Comacchio e di Ferrara dove gli austriaci s’erano insediati militarmente, dando occasione alle truppe pontificie, quindi, di schierarsi in un’ottimale collocazione strategica. Il Papa, per riconoscenza, conferì ai due fratelli il titolo ereditario di conte.

Deputato al Consiglio d’arruolamento della Guardia Civica Bolognese, nella primavera del fatidico 1848, Cesare prestò servizio nel VII battaglione con il grado di tenente colonnello, assumendone l’incarico di capo di stato maggiore. Carica, quest’ultima, che abbandonò perché eletto, il 18 maggio 1848, deputato al Parlamento di Roma. Fece parte dei volontari bolognesi che, comandati da Enea Bignami, erano a disposizione del quartier generale di Carlo Alberto di Savoia e contribuì alla difesa del Veneto dalla controffensiva austriaca (tra aprile e maggio 1848). Ulteriori vicende gli fecero decidere, nel novembre 1848, di voltare completamente pagina rispetto a trascorsi militari e politici.

Nel 1850 comprò dalla famiglia Donati l’area delle rovine del vetusto fortilizio di Savignano e, il 5 novembre dello stesso anno, avviò l’edificazione del castello che denominò “la Rocchetta” o “Rocchetta” ed il cui originario progetto in stile medioevale venne integrato da “innesti” moreschi ispirati all’Alhambra di Granada ed alla Mezquita di Córdoba, ambedue in Spagna.

Il conte vi si stabilì del tutto dal 1859 in poi, seguendone direttamente la direzione dei lavori, completati, come già ricordato, nel 1875. Un’iscrizione sopra l’ingresso principale sintetizza: “Il Conte Cesare Mattei – sopra le rovine d’antica rocca – edificò questo castello – dove visse XXV anni – benefico ai poveri – assiduamente studioso – delle virtù mediche dell’erbe – per la qual scienza ebbe nome in Europa – ed era cercato dagli infermi il suo soccorso – Mario Venturoli Mattei – compié l’edifizio – e secondo il voto di lui – nel X anno dalla morte – ne portò qui le ceneri – con amore e riconoscenza di figlio – il III Aprile MCMVI”.

Cesare Mattei si dedicò allo studio ed alla diffusione d’una innovativa scienza medica empirica, detta elettromeopatia (forma ottocentesca dell’omeopatia basata sull’energia elettrica) che lo portò ad una fama pressoché mondiale tra il 1860 ed il 1880. L’elettromeopatia elaborata si basa, come sottolinea http://www.cesaremattei.com/conte-cesare-mattei.html, “sull’abbinamento di granuli simil-omeopatici con 5 fluidi elettrici per ristabilire l’equilibrio fra le cariche elettriche del corpo e ricondurre la parte dolente allo stato neutrale (similmente alla medicina cinese). Per i suoi preparati Mattei usa varie erbe medicinali, ma nelle sue lettere egli ribadisce che avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati usando una qualsiasi essenza, perché non era tanto importante l’erba medicinale usata, quanto il metodo di preparazione ed il modo in cui caricava i fluidi, che egli, comunque, teneva gelosamente segreto.

Sebbene non fosse laureato, Cesare dimostrò una spiccata predilezione per le scienze mediche, soprattutto nei confronti della medicina omeopatica. Definì l’elettromeopatia farina del suo sacco un ottimo rimedio per molte patologie, soprattutto per il cancro. Si costituiva, in pratica, d’una sorta di miscuglio tra omeopatia, fitoterapia, alchimia e magnetismo che valicava i confini dei princìpi di Christian Friedrich Samuel Hahnemann (Meißen, 10 aprile 1755Parigi, 2 luglio 1843), medico tedesco, fondatore della medicina “alternativa” detta omeopatia. Come il “principio dei simili”, similia similibus curantur (i simili si curino coi simili), secondo cui “le malattie si guariscono con i loro simili, cioè con medicamenti che producono nel soggetto sano i sintomi caratteristici del morbo da combattere”. La composizione ed il sistema di preparazione dei rimedi specifici approntati da Mattei, per uso interno ed esterno dall’azione omeopatica, rimasero, come già riportato, strettamente “misteriosi”.

Stando a quanto ha scritto Francesca Farnetani su http:// www.treccani.it/enciclopedia/cesare-mattei_(Dizionario-Biografi-

co)/, “il metodo, che ottenne subito un vasto successo in Italia e all’estero, soprattutto in Francia e in Germania, suscitò aspre critiche e polemiche nel mondo medico e tra gli omeopati: tra le varie contestazioni che gli furono rivolte una fra le più insistenti riguardò l’effettiva presenza di elettricità nei prodotti che aveva elaborato, che non poteva in alcun modo essere dimostrata. Tuttavia il M., colto, dotato di buon eloquio, felice scrittore, seppe validamente affermarsi e dar vita a un vivace movimento in suo favore, così che un numero sempre crescente di pazienti accorreva a consultarlo in una casa che possedeva a Bologna o ne richiedeva l’intervento al proprio domicilio: tuttavia, non essendo laureato, per non incorrere nel reato di esercizio abusivo della professione ebbe cura di operare sempre alla presenza di un medico. In seguito, però, quando sulle ali del successo ottenuto mise in vendita i suoi prodotti nelle farmacie, non poté evitare un processo presso la pretura di Vergato, il 19 luglio del 1887”.

Nella “Rocchetta” (diventata “Mattei”), ubicata su un’altura a 407 m s.l.m., il proprietario visse anni quasi da castellano medioevale, formandosi perfino una sorta di corte con relativo buffone. La cittadella accolse anche autorità dell’epoca di varia provenienza, desiderose d’affidarsi alle cure del conte Mattei. Pare che ospiti di rilievo furono Ludovico III di Baviera e lo zar Alessandro II mentre risultò ufficiale, nel 1925, la venuta di Umberto II di Savoia, principe di Piemonte.

Addirittura lo scrittore e filosofo russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Mosca, 11 novembre 1821, 30 ottobre nel calendario Giuliano allora utilizzato in Russia – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881, 28 gennaio nel citato calendario Giuliano) menziona il conte Cesare Mattei nel suo celebre romanzo “I fratelli Karamàzov”, quando mette in bocca del diavolo il fatto d’essere riuscito a guarire da acuti reumatismi per mezzo d’un libro e di gocce preparate dal bolognese (ma indicandolo erroneamente come “conte Mattei a Milano”). “Ma che filosofia e filosofia, quando tutta la parte destra del corpo mi si è paralizzata e io non faccio che gemere e lamentarmi. Ho tentato tutti i rimedi della medicina: sanno fare la diagnosi in maniera eccellente, conoscono la tua malattia come il palmo delle loro mani, ma non sono capaci di curare. (…) Disperato, ho scritto al conte Mattei a Milano, che mi ha mandato un libro e delle gocce, che Dio lo benedica”.

Sfruttando le sue entrature presso gli ambiti pontifici, nel 1869 ottenne da Papa Pio IX il permesso di sperimentare per tre mesi i suoi prodotti nell’ospedale militare romano di convalescenza “Santa Teresa” e nel 1881, ottimista per la favorevole accettazione e nonostante l’ostracismo delle medicine ufficiale ed omeopatica, iniziò la produzione massiccia degli elaborati elettromeopatici e la loro esportazione all’estero. Partendo dal primo a Bologna, organizzò depositi che, da 26, aumentarono a 107 nel 1884, dispersi in giro per il mondo (Europa, Stati Uniti, Haiti, Cina). Raccolse i suoi concetti in molte opere di cui alcune tradotte nelle lingue principali. Il conte Mattei mantenne un profilo da singolare personaggio, innescando contrasti ed approvazioni. Ebbe nomea di generoso ed estroverso, amante del buon vivere e dell’allegria conviviale alla “Rocchetta”.

Non si sposò e dovette superare un duro periodo tra il 1887 ed il 1888, quando speculazioni finanziarie fallimentari tentate dal nipote Luigi Mattei (figlio del fratello Giuseppe), nominato erede e già co-intestatario della maggior parte delle proprietà, portarono ad una pesante crisi economica che costrinse alla vendita all’asta di vari beni di famiglia. Diseredò il nipote e risolse parzialmente il frangente, grazie anche al suo collaboratore Mario Venturoli (5 luglio 1858 – 18 novembre 1937) che adottò, per riconoscenza, nel 1888.

L’unica figlia naturale di Cesare Mattei nacque nel 1889, quando il padre aveva ben 80 anni e la madre (Maria Albina Bonaiuti, governante della “Rocchetta”, detta “Agrippina” e soprannominata “Trebisonda” dal conte) appena 27. La bambina, Maria, mantenne il cognome della mamma, Bonaiuti. Venturoli, nonostante la natività, restò sempre erede universale, con la raccomandazione, espressa nel testamento del padre adottivo, di riservare a Maria il massimo delle cure essendo sangue del proprio sangue. Nel 1894 Mario Venturoli sposò la romena Sofia Condescu e l’anno seguente il conte, vecchio e prostrato psichicamente dai continui conflitti con i medici allopatici, sospettando che la nuora Sofia avesse tentato d’ucciderlo con un caffè alla turca avvelenato, allontanò lei ed il marito dalla “Rocchetta” e diseredò il figlio adottivo.

La morte del conte Cesare Mattei avvenne il 3 aprile 1896 e costituì una drastica incertezza per l’economia della zona sviluppatasi grazie alla sua specifica attività ed alla stazione a Riola (ottimale nel collegamento con la “Rocchetta Mattei”) che lui fece di tutto per far aprire nel contesto della Ferrovia Porrettana.

Di buon cuore con i poveri, donava ai bisognosi di cure i suoi rimedi. Le sue spoglie vennero portate nella chiesina di Savignano accompagnate dalla musica di Porretta e con un seguito di circa duemila persone. Il 14 aprile 1896 furono officiate le sue esequie da 60 sacerdoti ed alla presenza di seimila estimatori.

Il testamento originale del conte Mattei annovera un punto sulla conservazione del castello della “Rocchetta” e sull’enigma delle sue “ricette” benefiche.

“Il mio castello nel quale sarà anche la mia tomba dovrà in perpetuo essere conservato come si trova al momento della mia morte. La mia tomba sarà custodita da Religiosi e secolari. I custodi saranno i Cappuccini di Porretta i quali dovranno celebrare la Messa letta ogni mese dell’anno e due Messe Solenni negli anniversari della mia nascita e della mia morte. Siccome poi la Divina Provvidenza volle che io fossi lo scopritore di quel grande benefizio che è l’elettromeopatia così di questo intendo di disporre con foglio segreto e separato”.

La volontà del conte, menzionata nell’atto testamentario, venne rispettata dieci anni dopo il decesso.

Nel 1906, le sue spoglie furono traslate nella cappella della “Rocchetta”, all’interno d’un sarcofago rivestito di maioliche che reca tuttora la seguente epigrafe, senza alcun nome di riferimento: Anima requiescat in manu dei. Diconsi stelle di XVI grandezza e tanto più lontane sono che la luce loro solo dopo XXIV secoli arriva a noi. Visibili furono esse coi telescopi Herschel. Ma chi narrerà delle stelle anche più remote, atomi percettibili solo colle più meravigliose lenti che la scienza possegga o trovi? Quale cifra rappresenterà tal distanza che solo correndo per milioni di anni la luce alata valicherebbe? Uomini udite: oltre quelle spaziano ancora i confini dell’Universo!”

Dopo essere stato scottato dal decisionismo del padre adottivo, Mario Venturoli-Mattei impugnò il testamento presentando una documentazione sulle condizioni mentali del conte nel delicato periodo conclusivo della sua vita e, nel 1904, fu dichiarato co-erede assieme ai nipoti del defunto, assicurandosi buona parte dei lasciti. Poté, quindi, ultimare la “Rocchetta” e rinnovare altre proprietà immobiliari, proseguendo soprattutto la produzione elettromeopatica che consentì un ulteriore incremento dei depositi internazionali, 266 nel 1914.

In seguito alla morte di Venturoli, nel 1937, l’attività continuò con la moglie Giovanna Maria Longhi (“Giannina”, vedova Boriani, sposata dopo l’annullamento del matrimonio con Sofia Condescu), erede dei segreti elettromeopatici.

La lavorazione dei preparati entrò in crisi nei burrascosi anni della Seconda Guerra Mondiale, specialmente quando la “Rocchetta” fu requisita dalle forze d’occupazione tedesche che bruciarono mobili pregiati per riscaldarsi e non mancarono di saccheggiarla, così come fecero gli abitanti della zona che razziarono quadri, gioielli e 600 (!) tappeti persiani.

Trasferitasi a Bologna con la figlia Iris Boriani, Giovanna Maria morì nel 1956 lasciando tutto, proprietà e segreti dei “rimedi Mattei”, alla stessa Iris che non riuscì a risollevare l’occupazione di famiglia ed assistette impotente alla definitiva chiusura.

Volendo disfarsi dell’ingombrante e gravoso complesso e non trovando acquirenti, Iris offrì in forma gratuita la “Rocchetta” al Comune di Bologna che, alle prese con la ricostruzione dai danni del conflitto, non l’accettò. Le andò meglio nel 1959, quando il nucleo fu acquistato da Elena Sapori, moglie d’un commerciante di Vergato, Primo Stefanelli, soprannominato “il Mercantone”. Ovviamente, le occulte ricette elettromeopatiche del conte Mattei rimasero esclusività di Iris, provvedendone l’affidamento alla figlia Gianna Fadda alla sua dipartita. Quest’ultima è deceduta nel 2011, non prima d’aver passato le “confidenze di casa” alla figlia Alessia Marchetti.

Stefanelli apportò trasformazioni e modifiche all’assetto originale della “Rocchetta”: adattò un padiglione da caccia in albergo e ristorante con accesso al parco attiguo ed inserì elementi prima mancanti (posticci prigione e pozzo a rasoio). Il suo scopo era di riportarla ai fasti passati per farne un’attrattiva turistica.

Nel 1986 la “Rocchetta Mattei” venne inserita tra i beni tutelati dallo Stato ma la responsabilità ufficiale rimase solo sulla carta, senza alcun intervento di conservazione o di semplice valorizzazione.

Il riacquistato prestigio del sito, come albergo-ristorante-museo, ebbe vita breve, nonostante avesse pure accolto, nel 1968, set e cast del primo film del regista Pupi Avati (Bologna, 3 novembre 1938) “Balsamus, l’uomo di Satana”, con Bob Tonelli. La stimolante location fu utilizzata anche dal regista Marco Bellocchio (Bobbio, Piacenza, 9 novembre 1939) per le riprese esterne del suo film “Enrico IV” del 1984, libera trasposizione dell’omonima tragedia di Luigi Pirandello, con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale. E sempre la “Rocchetta” impersonò se stessa nel romanzo giallo “Delitti di gente qualunque” del celebre autore di polizieschi e pièces teatrali Loriano Macchiavelli (Vergato, Bologna, 12 marzo 1934) che dal 1997 è in collaborazione letteraria col cantautore, compositore, scrittore ed attore Francesco Guccini.

Il crepuscolo dagli Anni Settanta in poi ricevette la botta definitiva della chiusura con ordinanza del sindaco di Grizzana nel 1988. I coniugi Stefanelli stavano portando avanti il passaggio di proprietà ad istituzioni del territorio (Provincia, Comunità Montana e Comuni di Grizzana e Vergato) ma la morte di Primo (il 26 marzo 1989) e d’Elena (il 1° dicembre dello stesso anno) impedì eventuali accordi e portò le strutture ad una graduale rovina.

Le successive trattative con gli eredi di proposte d’acquisto (anche di privati) e la costituzione nel 1997 del Comitato “SOS Rocchetta” di salvaguardia, precedettero la vendita alla Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna nel 2005 che mutò denominazione al comitato in “Archivio Museo Cesare Mattei Onlus”, in vista del restauro e dell’apertura al pubblico. L’opera di ripristino, infatti, iniziò nel 2007, in stretta collaborazione con l’“Archivio Museo” che, per sua mission, provvide (e provvede ancora) a recuperare e catalogare materiale, documenti e reperti sul conte, sull’elettromeopatia e sulla “Rocchetta”.

Nel 2014 si concluse il primo appalto di risanamento che interessava i tre quarti dell’insieme. E dal 9 agosto 2015 i visitatori possono mettere piede nella curiosa “creatura architettonica” voluta dal celebrato prima, dimenticato poi ma riscoperto ora “padre dell’elettromeopatia”…

 

www.rocchetta-mattei.it

 

 

La “vera ed unica genealogia” tratta da “Il conte Cesare Mattei signore della Rocchetta nella storia e nella medicina” (2014) di Mario Facci, medico chirurgo e cultore di storia locale.

Riporta anche alcune informazioni diverse rispetto ad altre fonti: l’adozione di Mario Venturoli nel 1877 (non nel 1888); il cambio di parere rispetto alla nomina di quest’ultimo come erede universale (nel 1895, con nuovo beneficiario il Ricovero di mendicità “Vittorio Emanuele II” ed opere pie annesse di Bologna; l’allontanamento di Mario e della moglie, Sofia Condescu, da Bologna e costretti a vivere a Milano; l’ottenimento in eredità, dopo la morte del conte nel 1896, del 50% delle proprietà (compresa l’industria elettromeopatica) mentre l’altra metà andò all’erede universale designato (il Ricovero di mendicità) e ad un elenco di legati a persone, enti civili e religiosi; il rilevamento nel 1904, da parte di Venturoli, del restante capitale, diventando proprietario esclusivo dell’“eredità Mattei”; la vedovanza di Mario, con la morte a Bolzano nel 1929 di Sofia; il matrimonio con Giovanna Maria Longhi, vedova Boriani con cui aveva avuto la figlia Iris; il primo matrimonio di Iris con Italo Donati e, dopo la separazione, un secondo con Giovanni Maria Fadda, stimato venologo e proctologo della Bologna degli Anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, con la conseguente nascita di Giovanna e Susanna.

Secondo Facci, “Iris Boriani e le sorelle Fadda e loro discendenti furono le eredi delle proprietà di Mario Venturoli e specificatamente della Rocchetta Mattei e del Laboratorio di Elettromeopatia (…). Eredi ma non discendenti. Mario Venturoli Mattei rimase figlio adottivo con tutti i diritti che da tale adozione le pervenivano, e da lui non si è avuto alcuna discendenza, né diretta, né simbolica (…)”.

Diverso è il caso di Maria Bonaiuti, figlia naturale di Maria Albina Bonaiuti (già madre di un’altra figlia, Gemma Domenica Maria, avuta con Angelo Cristalli e con il quale s’era sposata solo religiosamente, senza riconoscimento dello Stato) e del conte Mattei, che si sposò con Alfredo Zara.

Per Facci, “i componenti delle famiglie Zara e Comini sono i soli diretti discendenti del conte Cesare (Legge sulla filiazione del Codice Civile Napoleonico e Legge recentissima, la 154 del 2013) ed essendo di fatto gli eredi morali del conte Cesare Mattei intendono far valere questi loro diritti che la legge consente loro di pretendere”.