Benedetto XVI l´aveva previsto!

Aveva previsto l´attuale crisi sociale e quella concomitante della Chiesa; una Chiesa che si sarebbe ridotta nella sostanza e con un numero di fedeli sempre minore… “Gli uomini – aveva chiosato – vivranno in un mondo totalmente programmato in una solitudine indicibile”. Il rispettato professore di Tübingen, Joseph Ratzinger, oggi ultranovantenne, nel lontano 1969, quando non si era assolutamente in odore di papato, aveva profeticamente previsto, ovvio, sotto il profilo dello studioso ( teologico-filosofico), la fine della nostra civiltà, della civiltà occidentale , così com´è arrivata a noi e come l´abbiamo vissuta; uso il passato prossimo, in quanto abbiamo già cominciato a vivere la civiltà globalizzata.

Alla luce di quanto sta succedendo, possiamo considerare oggi Joseph Ratzinger, Papa emerito Benedetto XVI, l´ultimo bastione di una civiltà europea giunta inesorabilmente al crepuscolo della sua millenaria esistenza?

Parliamo di quell´Europa che affonda le proprie radici nelle civiltà greco-romana prima e cristiana dopo, dell´Europa dei Popoli, delle tradizioni dell´Umanesimo, dei grandi artisti, filosofi e pensatori, delle idee e dei valori fondanti della nostra società.

Si direbbe proprio di sì! La globalizzazione, ovvero l’unificazione dei mercati a livello mondiale, ha, in effetti, inesorabilmente distrutto i popoli, con lo scopo predeterminato dei “signori dell´alta finanza” che comandano i governi di tutto il pianeta, di creare - attraverso un processo di omogeneizzazione - un´unica massa popolare, supermediale, dal pensiero unico ( inteso, d´accordo con Ignacio Ramonet, come la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale), senza cultura, radici, identità e possibilità di scelta, facile da asservire e sfruttare a dovere.

D´altro canto, non bisogna essere economisti per capire che, la globalizzazione, in realtà, ha: condannato a morte, ad esempio, l´agricoltura tradizionale imponendo metodi di produzione specifici del settore capitalistico e costringendo l´esodo dei lavoratori della terra, dalle campagne verso i grandi agglomerati urbani, ove è – conseguentemente - aumentata la disoccupazione; causato le grandi migrazioni internazionali di massa, le cui conseguenze sono a tutti note; provocato la delocalizzazione delle grandi industrie, causando scompiglio e crisi sociali nel mondo del lavoro (l´occupazione è cresciuta solo nel settore dei servizi e da qui il neologismo società post-industriale); favorito, in molti casi, la disuguaglianza tra nazioni e/o all´interno delle stesse (secondo quanto risulta dagli studi dell’economista Thomas Piketty); avvantaggiato le aree a minor costo di vita, a danno di quelle con il Pib più alto; favorito i tradizionali Paesi a gap tecnologico più avanzato, unici titolati a produrre alta tecnologia, aumentando il divario socio-economico, già esitente, con i Paesi sottosviluppati.

Riassumendo, dal punto di vista economico, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più miserabili e indebitati.

E la classe media, che è quella che conta di più in quanto, comprovatamente, è quella che assicura l´equilibrio politico e la coesione sociale?

Nelle statitiche, essa è quella che ha sofferto di più e ciò è un dato allarmante! Non a caso, il poeta Euripide, ne “Le Supplici” (è il titolo di una tragedia scritta nel 422 a. C., definita come la tragedia maggiormente politica in senso stretto), argomenta su quale sia la forma migliore di governo; democrazia o tirannide e in essa si legge: “Tre sono le classi sociali: i ricchi, dannosi e che vogliono sempre di più; quelli che non hanno e difettano di mezzi di sussistenza, pericolosi perché si lasciano prendere dall’invidia e illusi dalle parole dei malvagi patroni, lanciano perfide frecciate contro gli abbienti. Delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendone l’ordine da esse stabilito”. Eppertanto, secondo Euripide, ideatore della figura definita “classe media”, il ceto medio è l’unico in grado di garantire un equilibrio tra ricchi e poveri e guai se scompare, con esso scomparerebbe anche la “concordia ordinum”, l´unica via da percorrere per il bene dello Stato.

Dal punto di vista sociale, d´altronde, l´appiattimento operato dalla globalizzazione non sembra avere in vista una soluzione, nonostante i vari tentativi sino ad oggi messi in campo come, ad esempio, il processo di glocalizzazione (l’attuazione a livello locale dei prodotti o servizi nati dalla globalizzazione, tramite un processo di collegamento delle specificità delle singole realtà territoriali con lo schema internazionale).

La globalizzazione ha inesorabilmente appiattito sistemi, modelli e modus vivendi: le economie mondiali  operano interconnesse (se vacilla una, le altre ne risentono gli effetti a catena); tutti consumiamo gli stessi prodotti, leggiamo e ascoltiamo le stesse notizie “confezionate” dallo stesso “programmatore”; tutti siamo controllati e condizionati attraverso l´onnipresente telefonino e le reti internet.

Viviamo, è bene dircelo chiaramente, sotto la dittatura del nuovo ordine globale e non ce ne rendiamo conto! Se il comunismo pianificava la produzione, il globalismo, oggi, pianifica i consumi, i consumatori e le loro menti. Esiste una soluzione? Sì, la più ragionevole appare la graduale deglobalizzazione generale, ovvero il processo di superamento della globalizzazione attraverso la valorizzazione dei mercati locali e il ripristino dell´ordine naturale delle cose. Costerà rinunce e sacrifici, ma è realizzabile.

Diamine, siamo partiti dalla crisi della Chiesa e sembra che, trattando il tema della globalizzazione, ce ne siamo dimenticati! Tranquilli, non è così; in realtà, economia e religione sono fortemente legate a doppio filo.

Senza dover andare nel tempo dei tempi, il culto di Mammone (o, volgarmente, del Dio soldo) ha connotazioni sataniche e, di conseguenza, si mantiene collegato, ancorché in antitesi, col sacro e, non per mera coincidenza, il potere temporale dei Papi, che si pensa sia iniziato con la donazione di Sutri ad opera del re longobardo Liutbrando a favore di Papa Gregorio II, mentre in effetti esso veniva già esercitato sin dal secolo V dai pontefici, si accompagnava, strategicamente, al potere spirituale.

Vale la pena ricordare che all´epoca, i peccati venivano perdonati dietro pagamento di somme di denaro; non a caso, fiorirono negli anni alcuni detti popolari, come: “senza soldi non si cantano messe” e tutto ciò ci porta ad una considerazione: fatalmente, la lenta decadenza della Chiesa accompagna in forma interdipendente l´attuale crisi economica. A questo punto, però, sorge una domanda: quest´ultima è causa della prima?

In parte, sicuramente sì e a rafforzare questo convincimento ci incoraggiano, da una parte, le conclusioni degli studi di Frank Knight, un gigante tra gli economisti del XX secolo, secondo le quali, l’economia - in realtà - è una specie di religione, dall´altra, il rapporto di connessione tra crescita economica e religione messo in evidenza da uno tra i più qualificati economisti contemporanei, Robert J. Barro.

Intervengono, però, altri fattori determinanti che incidono sulla crisi della Chiesa, all´infuori di quelli economici; i fattori endogeni.

Le statistiche registrano in continuazione un calo di partecipazione alla vita ecclesiastica da parte dei “pastori” e da parte dei fedeli, almeno in occidente. Papa Francesco è contestato, come mai era successo con i suoi predecessori, all´interno e fuori della Chiesa. Egli si sente autorizzato a prendere decisioni importanti, tanto da modificare i cardini della dottrina, senza dare ascolto al popolo della Chiesa, che deve limitarsi solo a prenderne atto. Egli è il Maestro della Fede, ma accade che invece di unire, crea confusione, dubbi e dissensi. Si sarebbe dovuto rendere conto, alla fine, che non si possono praticare cambiamenti, ovvero cambiare la fede e, nello stesso tempo, chiedere ai credenti di rimanere fedeli ad essa.

Oggi non è più lecito ai Papi fare politica, influenzare le politiche dei governi e opinare sul modo di gestire la res publica tanto quanto non è loro lecito, per come accennato, fare affermazioni devianti dalla Tradizione.

Per di più, l´esercizio del ministero petrino politicizzato da Papa Francesco non viene accettato neanche dagli intellettuali cattolici, da molti vescovi conservatori e da tantissimi fedeli.

Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno salvato sapientemente la Chiesa da uno scisma dovuto alle “discutibili” innovazioni del Concilio Vaticano II; Papa Bergoglio sta spingendo l´Italia e gli altri Paesi europei a stravolgere se stessi. E così facendo essi perderanno le loro tradizioni e la loro religione. È pertinente ricordare, a questo punto, un avvertimento di Thomas S. Eliot: “Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura; e allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie”. E il cristianesimo se ne sta andando… !

G.& G. Arnò