Per la riapertura del programma romano delle degustazioni targate Go Wine, l’associazione ha puntato su un cavallo di battaglia ormai consolidato nel tempo. Con “Buono non lo Conoscevo” degustazione dedicata ai vitigni autoctoni italiani Go Wine ha fatto di nuovo centro, come confermato dalle presenze nelle sale dell’Hotel Savoy che ha ospitato l’appuntamento. Gli appassionati per raggiungere i banchi di degustazione non si sono fatti fermare nemmeno dalla pioggia battente, sicuri che il disagio di affrontare il maltempo sarebbe stato certamente ripagato. Come sempre le aspettative sono state soddisfatte dal livello delle produzioni disponibili all’assaggio, alcune di queste vere e proprie rarità indisponibili sul mercato romano. Questa di fatto, è certamente una delle caratteristiche capaci di rendere così amata questa degustazione. Non capita infatti tutti i giorni di fare la conoscenza con vitigni che crescono centinaia di chilometri lontano da qui e, contemporaneamente fare la conoscenza della loro storia e del loro percorso ampelografico. Varietà spesso recuperate sull’orlo dell’oblio e restituite a nuova vita da produttori coraggiosi, che rinunciano a perseguire i grandi numeri in favore della conservazione dell’identità. A questi dovrebbero indirizzarsi i ringraziamenti di ogni appassionato, consapevole dell’importanza di mantenere una così ampia varietà ampelografica. Peculiarità distintiva del vigneto italiano, che rende la nostra viticultura unica al mondo e dal potenziale ancora ampiamente inespresso. Fortunatamente l’interesse per la realtà dei vitigni autoctoni è in forte aumento grazie all’enoturismo. Fenomeno in costante crescita di anno in anno, alimentato dalla voglia di conoscere e scoprire le tante sfumature culturali del nostro territorio, di cui l’enogastronomia è parte integrante. Anche questa volta la selezione di Go Wine ha saputo regalare grandi sorprese particolarmente gradite e, senza dubbio, la massiccia presenza Liguria è stata una di queste. I limiti della distribuzione insieme ai numeri contenuti della viticultura eroica di questa regione, rendono difficile la possibilità di poterne assaggiare i vini in una ampia varietà di etichette. Ad ovviare a questo ci ha pensato “Vite in Riviera”, una rete di 25 aziende che si occupa di valorizzare il patrimonio del vino e dell’olio ligure, presente con tutte le Doc rappresentative del territorio nelle loro differenti espressioni territoriali. Per il Vermentino da segnalare le versioni delle aziende Cantina Bruna, Ramoino, Lombardi e Vecchia Cantina. Ma il bianco che più si identifica con il territorio è forse il Pigato, rappresentato in maniera eccellente dalle Aziende Tenuta Maffone, Podere Grecale, Enrico Dario, Vio Claudio. Di quest’ultimo e a bacca rossa, anche l’ottima Grenaccia, in coppia con quella vinificata dell’Azienda Innocenzo Turco. Ma per nei rossi il primato di più identitario spetta senz’altro al Rossese di Dolceacqua, uno splendido vino come dimostrato dai prodotti di Cantina Praiè, Cantine Calleri e Torre Pernice. Vitigno che rivela la sua personalità anche in altre ubicazioni, come il Rossese di Campo Chiesa di Sartori Dulbecco. La vera chicca però è stata rappresentata da un vino che è veramente raro incontrare nel proprio calice, l’Ormeasco di Pornassio. Oggetto misterioso per ogni corsista del vino, qui rappresentato splendidamente come nelle etichette delle Aziende Cascina Nirasca, Guglierame e Peinetti. Liguria a parte anche il resto d’Italia ha sfoggiato i suoi gioielli, come il Ruchè di Luca Ferraris che tra le etichette ha presentato il Vigna del Parroco, premiato con 93 punti da Decanter. Poi altre piccole perle come il Trebbiano Spoletino di Colle Ciocco o il Pugnitello di Poggiolella, Azienda della zona di Orbetello. E ancora in ordine sparso dal piemonte l’azienda Cieck che vinifica l’Erbaluce di Caluso, la splendida Tintilia del Molisano Claudio Cipressi o il Bombino Bianco dei Pugliesi Rivera. La Malvasia Istriana di Scubla dal Friuli e la Falanghina del Sannio di Torre Varano, nella sua interpretazione strutturata con Niche, o i sorprendenti Lambrusco della Cantina Sociale di Quistello con i suoi particolari cloni del vitigno. Non poteva mancare il Lazio che ha fatto gli onori di casa presentandosi tra gli altri con il Terrae Vulpis, Cesanese di Affile dell’Azienda Raimondo, Il Grechetto di Trebotti ed il Racemo, Frascati Superiore dell’Azienda Olivella. Un biglietto da visita della nuova viticultura Laziale, in rapida risalita verso i livelli che il suo terroir è in grado di garantire.

Bruno Fulco