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La prima "Rivoluzione Colorata"

dell'area ex-sovietica con inizio

a Tbilisi in Georgia nel 2003

IL FALLIMENTO DELLE RIVOLUZIONI COLORATE E IL PROFETA DELLA ‘RIVOLUZIONE PIU’ IMPORTANTE DEL SESSO’.

Dopo Stalin, un altro georgiano - Mikheil Saakashvili, con il vizietto del ribaltone

Le Rivoluzioni colorate sono state e continuano ad essere movimenti simili e collegati tra di loro che si sono sviluppati principalmente in alcuni stati post-sovietici negli anni 2000, utilizzando metodi apparentemente non violenti e di disobbedienza civile per protestare contro governi ritenuti corrotti e/o autoritari. Questi movimenti, che hanno manifestato contro i governi in carica ritenuti filo-russi, hanno sostenuto negli ultimi 15 anni le candidature di politici sostenitori di una politica filo-occidentale come Micheil Saakašvili in Georgia, Viktor Andrijovyč Juščenko in Ucraina, e Kurmanbek Bakiyev in Kirgyzstan. L’ennesima rivoluzione colorata si è avuta in Macedonia nel 2017.

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Mappa delle Rivoluzioni Colorate negli anni 2000

Quasi 10 anni fa, tra il 7 e l’8 agosto del 2008, la Georgia invase con le sue truppe l’Ossezia del Sud, una regione autonoma del suo territorio che confina a nord con la Russia e che da tempo rivendica il riconoscimento della sua indipendenza. L’esercito della Federazione Russa rispose con un intervento militare rapidissimo e in una settimana sconfisse le truppe georgiane respingendole fino quasi alle porte della capitale Tbilisi. Il cessate il fuoco fu firmato il 15 agosto 2008. Gli accordi impegnavano la Russia a ritirarsi dal territorio georgiano e la Georgia a rinunciare all’uso della forza contro l’Ossezia e l’Abcasia. Ma subito dopo la firma la Russia proclamò unilateralmente una zona cuscinetto attorno alle due repubbliche e il ritiro delle sue truppe non fu mai completato. Da allora i rapporti tra i due paesi sono rimasti sempre molto tesi.

A scatenare questa breve guerra, Mikheil Saakashvili, ex capo della rivoluzione filoatlantica delle Rose, ex presidente della Georgia, poi ex governatore in Ucraina, e oggi apolide. A 37 anni, questo politico poliglotta (conosce bene 7 lingue, tra cui inglese, francese, tedesco, russo e olandese per via della moglie) divenne presidente e iniziò un periodo di riforme che tanto piacquero ai leader europei e agli Stati Uniti. Alcuni osservatori ritengono che dopo la breve guerra del 2008 contro l‘Ossezia del Sud e la Russia, nata dalla Rivoluzione delle Rose nel 2003 in Georgia, Saakashvili abbia provocato l’esercito russo risvegliandone i sogni di espansione. Da li’ a poco infatti è avvenuta nel 2013 l’annessione della Crimea da parte della Russia aprendo un aspro conflitto ancora in essere con l’Ucraina, altro paese percorso dalla rivoluzione dei fiori fin dal 2004.

La guerra Georgia— Ossezia del Sud -Russia dell’agosto 2008, dopo l’invasione dell’esercito georgiano dell’Ossezia del Sud

Dopo 10 anni dalla guerra contro la Russia, anche l'Europa sembra aver aperto gli occhi sulle Rivoluzioni dei Fiori, o, che è lo stesso, sulle rivoluzioni colorate, così chiamate per le immagini accattivanti scelte come simboli (la rosa in Georgia nel 2003, l’arancio in Ucraina nel 2004, il tulipano in Kirgyzstan nel 2005). In quelle occasioni, Washington e Mosca sono state tacciate d’ingerenza negli affari di stato di paesi indipendenti, ma l'Europa ha sempre seguito solo e unicamente Washington. Oggi qualcosa è cambiato nel giudizio dell’Europa su questi ‘venti democratici’ che spirano dal Far West.

Il perché è presto detto. Queste rivoluzioni colorate che ancora continuano sono viste oggi come un fenomeno di marketing politico sponsorizzato a quel tempo indirettamente da alcune Fondazioni vicine all’Amministrazione Bush e dal National Security Council, per ostacolare l’influenza della Federazione russa soprattutto in aree strategiche per l’estrazione degli idrocarburi (gas, petrolio). Ciò che è accaduto è di pubblico dominio. L’ucraino Jušcenko è stato sonoramente sconfitto alle presidenziali del febbraio 2010, ottenendo appena il 5% dei voti, mentre il kirghizo Bakiev è stato costretto a dimettersi ad aprile 2010 da un popolo infuriato contro il nepotismo e la corruzione che circondavano il suo regime. A restare ancora per un po’ in sella, traballante in verità, è stato il georgiano Saakhašvili, comunque indebolito dopo la sconfitta militare nella guerra del 2008 contro la Russia e poi contestato violentemente da un’opposizione agguerritissima.

Mikheil Saakashvili, un rivoluzionario ad oltranza

Era il 2009 e Mikheil Saakashvili, è presidente georgiano al suo secondo mandato, ancora corteggiato dalle nazioni europee e dal presidente George W.Bush, ma nel 2013 lascia la Georgia per evitare i processi che lo vedono coinvolto nell’uccisione di un banchiere e le accuse di abuso di potere contro le violente proteste di piazza del 2007.

Il presidente americano George W.Bush con il presidente georgiano Mikheil Saakashvili

E qui emerge tutta la personalità rivoluzionaria del georgiano che cerca consensi nella nazione più anti-russa del momento – l’Ucraina - governata dal nuovo presidente Petro Poroshenko che non solo gli offre in un batter d’occhio la cittadinanza ma che lo nomina addirittura governatore dell’oblast (regione) di Odessa. Il Primo ministro russo Dmitrj Medvedev, in un messaggio via Twitter, così commenta: "Quando il circo arriva in città... Povera Ucraina". Mossa che infatti si dimostrerà fallimentare per lo stesso Poroshenko che si è visto l’ex alleato rivoltarsi contro. E’ fuori dubbio che la decisione del presidente ucraino di affidarsi ad un personaggio politico filoamericano assegnandogli uno dei punti sensibili degli equilibri geopolitici, aveva un significato di aperto scontro con la Russia, volendo controllare di fatto le coste del mar Nero a partire dalle foci del Danubio (il Bugeac, parte meridionale della Bessarabia storica tolta di fatto al controllo della Moldova, l’unico stato sul mar Nero a non aver accesso al mare) fino alla Crimea annessa nel 2013; e soprattutto volendo impedire un accerchiamento della Russia a partire dal Donbas-Donetsk, fino ad arrivare alla Transnistria passando attraverso la Crimea e, appunto, la regione di Odessa. Ma qualcosa è andato storto nei rapporti con il leader ucraino che gli ritira il passaporto dopo meno due anni di cittadinanza ucraina (dal maggio 2015 al novembre 2016) e lo espelle dal Paese costringendolo a chiedere asilo in Polonia e a diventare di fatto un apolide, in quanto in Georgia è stato condannato in contumacia a 3 anni di carcere con il ritiro anche là della cittadinanza. Si vocifera che nella sua nuova carica di governatore S. abbia cospirato contro il regime volendo che a Odessa fiorissero le stesse ‘rose’ della rivoluzione in Georgia. S. sbaglia i conti dimenticando che la regione ha una tradizione filorussa e dichiara in una recente intervista: ‘Nemmeno il sesso puo’ essere paragonato al piacere della rivoluzione’. E così l’apolide, alla ricerca di una nuova immagine rivoluzionaria che si era guadagnata come paladino dell’anticorruzione in un’area che ha fatto della corruzione un ‘status vitae’, a settembre 2017 ha passato illegalmente il confine polacco per tornare in Ucraina e ‘per combattere la corruzione’ che poi abbandona rifugiandosi in Olanda, la patria della moglie.

 

Mikheil Saakashvili con il presidente ucraino Petro Poroshenko che gli offre la cittadinanza ucraina e subito dopo nel maggio 2015 il governatorato dell’oblast (regione) di Odessa

Classica storia di parabola discendente per il candidato del popolo eletto nel 2004 in Georgia con il 96% dei consensi quando raggiunge il massimo della popolarità dando inizio ad una sistematica lotta alla corruzione e alla modernizzazione della burocrazia statale, ma che aveva risposto ai concittadini che chiedevano più democrazia e trasparenza con idranti, torture e chiusura delle emittenti dell’opposizione. E non è finita, ora che le elite internazionali prendono le distanze dopo aver messo a fuoco le mire e la teatralità del soggetto, sono rimasti al suo fianco solo gruppi dell’ultradestra e organizzazioni paramilitari. Al suo arrivo in Polonia aveva candidamente detto: ‘Amo la Polonia ma sto ancora combattendo in Georgia e Ucraina’. Altra Rivoluzione Colorata in arrivo?

Una lezione da imparare

Alla fine certi comportamenti irriducibili come quelli di Saakashvili non potrebbero essere tali se dietro le quinte non si agitassero poteri ‘poco’ occulti che hanno l’obiettivo di destabilizzare ancor più una zona già pericolosamente instabile, alimentando nuove rivoluzioni. Le Rivoluzioni Colorate nate 15 anni fa che di fatto si sono ‘appassite’ dopo 5 anni come i fiori che le rappresentano, si sono rivelate un fallimento politico di cui Washington rischia oggi di pagare conseguenze salate, frutto di una sbagliata percezione sponsorizzando soggetti politici che alla resa dei conti si sono mostrati inaffidabili agli stessi supporters d’oltreoceano perché in definitiva affetti da ambizioni personali, narcisismo e teatralità. Nella riapertura di credito di questi paesi dell’Est nei confronti di Mosca, ha giocato pesantemente la carta dell’energia russa, in primo luogo il gas, che è stato e continua a essere un’arma vincente e un potente mezzo di convincimento nei rapporti con gli stati interessati.

A distanza di 10 anni dalla guerra Georgia-Russia, in una visione più disincantata e realistica, le Rivoluzioni Colorate non appaiono più manifestazioni sociali spontanee ma piuttosto dei piani strategico-militari per la destabilizzazione di un’area-bersaglio geopolitica. La più recente rivoluzione del 2017 (che probabilmente non sarà l’ultima) si è materializzata in Macedonia e questi movimenti spesso sono state finanziati dal magnate George Soros, per sua stessa dichiarazione. La crisi ucraina ne è l’esempio più evidente: blocchi di protesta popolare in rivolta contro un governo, colpevole di non essere allineato o particolarmente favorevole alle linee politiche occidentali/statunitensi. Secondo molti studiosi di geopolitica, la vera causa di queste strategie è che Repubblica di Macedonia è un importante transito per i gasdotti russi diretti verso l’Europa occidentale, e quindi è interesse USA destabilizzare la zona e far così crollare o quanto meno delegittimare l’attuale governo, moderatamente filo-russo.

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La Rivoluzione Colorata del 2017 in Macedonia. Nella capitale Skopje gli artisti lavorano giorno e notte, colorando gli edifici e le statue pubbliche di tutti i colori dell’arcobaleno, con uno stile ispirato a Jackson Pollock.

L’escalation della Rivoluzioni Colorate segue uno clichè ben consolidato. Il Paese viene dichiarato non libero da una delle organizzazioni internazionali americane; gli USA e le altre organizzazioni internazionali allineate dichiarano di intervenire in nome del loro diritto-dovere di instaurare la democrazia, attivando nel frattempo movimenti, che anche se minoritari, vengono presentati come il vero portavoce della volontà e degli interessi di gran parte della popolazione; le manifestazioni provocheranno l’intervento delle forze dell’ordine che forniranno così un’ottima occasione per dimostrare la mancanza di libertà dell’opposizione; in caso di elezioni, se il risultato non è quello desiderato, si metterà in dubbio la capacità del sistema elettorale di assicurare un conteggio dei voti imparziale ed accurato; e, questo condurrà infine, grazie ad un monitoraggio internazionale, alle conclusioni auspicate con intervento di ONU e NATO.

Ci saranno altre Rivoluzioni Colorate fino a tanto che esisteranno poteri e organizzazioni internazionali d’oltreoceano ed altre allineate in ambito europeo che dichiarano di intervenire in nome del loro diritto-dovere di instaurare la democrazia. Non c’è bisogno di consultare maestri di strategia in politica estera: le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti anche se ci illudiamo che il tempo sa essere galantuomo.

Giordano Cevolani

22/06/2018