di Giordano Cevolani

 

CINA E’ “TROPPO” VICINA
UN CONFLITTO MONDIALE A CAUSA DEI DETRITI SPAZIALI?

 Fino a qualche tempo uno slogan ricorrente era ‘la Cina è vicina’ ma oggi siamo in grado di ribattere che ‘la Cina è troppo vicina’. Ci sono parecchie ragioni per sostenere questo e riguardano non solo la nostra vita sul pianeta ma anche lo spazio circumterrestre sempre più inquinato per la presenza di oggetti spaziali di fabbricazione umana che stanno minando alle radici il già precario equilibrio della nostra biosfera.

La lotta per la conquista e il controllo dello spazio circumterrestre sta avvenendo in modo frenetico e non sempre nel pieno rispetto di accordi comuni tra le varie agenzie internazionali che antepongono interessi individuali a fronte di quelli collettivi. Questo è successo dieci anni fa con il satellite meteorologico cinese Fenjung-1C fatto esplodere volutamente a scopo sperimentale dall’Agenzia cinese CNSA e che ha prodotto la più grande pioggia di detriti spaziali – i ben noti space debris o più semplicemente debris - mai avuta in precedenza e che sta minando la vita di tutti i satelliti attualmente in orbita. E questo sta ancora accadendo oggi a distanza di 10 anni con la stazione spaziale cinese fuori controllo Tiangong-1, precipitata lunedì 2 aprile alle ore 02:16 nel Pacifico.

La scienza dello spazio è salita in questi giorni alla ribalta della cronaca con gli ultimi annunci su Tiangong-1 che hanno destato sconcerto e perplessità proiettando una luce sinistra sul futuro della nostra civiltà. Dopo 2375 giorni e 21 ore in orbita il modulo della stazione spaziale cinese ha concluso la sua caduta libera sul Pacifico meridionale. La sua storia è stata seguita da telescopi e radar di almeno 12 agenzie spaziali e centri di ricerca in tutto il mondo. Nel caso in cui frammenti di dimensioni importanti potessero sopravvivere all'impatto distruttivo con l'atmosfera, "le probabilità che cadessero sull'Italia erano bassissime". Lo avevano affermato a inizio marzo a Roma i responsabili del nuovo ufficio dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) sulla sicurezza dello spazio. La data precisa dell'impatto della stazione spaziale cinese con l'atmosfera si è conosciuto solo 3 giorni prima e solo 6 ore prima si è potuto conoscere la traiettoria di rientro; alla quota di 90 chilometri era previsto l'impatto con l'atmosfera dove la Tiangong-1 ha cominciato a bruciare.

Quello che invece è noto è che, per le caratteristiche della sua orbita, la Tiangong-1 sorvola la fascia intorno all'Equatore, spingendosi fino a metà dell'Italia, sulla quale passa 4 volte al giorno e ogni passaggio dura 3 minuti. Per questo l'eventuale caduta di frammenti non dovrebbe riguardare le aree a Nord di Firenze.

 

Il già citato caso Fengyun 1-C di più di 10 anni fa è stata una vera catastrofe spaziale. Nel pomeriggio dell’11 gennaio 2007, la Repubblica Popolare Cinese annunciò la distruzione avvenuta con successo del defunto satellite meteorologico cinese Fengyun 1-C, lanciato nel 1999 in orbita polare ad un’altezza di circa 865 km. L’esplosione intenzionale del satellite di massa pari a 750 kg con un missile anti-satellite, ha prodotto la nube di detriti più massiccia della storia, una vera e propria pioggia di micidiali proiettili per le costellazioni di satelliti situati alle orbite LEO. Di questa esplosione l’Agenzia cinese non fece preventiva menzione alle altre Agenzie spaziali. Più di 2500 frammenti (in pratica circa il 50% in più di quelli già censiti) sono stati identificati e monitorati alla fine dell’anno dall’U.S. Space Surveillance Network, principalmente alle orbite LEO tra 300 e 400 km. Le altezze alle quali l’evento catastrofico è avvenuto, sono probabilmente tra le più pericolose per la sicurezza dei satelliti operativi e per altri grossi detriti prodotti da altre esplosioni. L’incremento di tanti frammenti non solo è andato ad accrescere il rischio d’impatto con la popolazione dei debris residenti, ma anche l’instabilità di tale popolazione con effetti di collisione a cascata.

Rappresentazione grafica della stazione spaziale cinese Tiangong 1 (fonte: Kordite)

La proliferazione dei debris dopo l’esplosione nel 2007 del Fenjung-1C e la collisione nel 2009 tra i satelliti Iridium 33 e Cosmos 2251 che hanno prodotto rispettivamente il 50% e il 20% in più dei debris monitorati dall’ U.S. Space Surveillance Network, principalmente alle orbite LEO tra 300 e 400 km

Tiangong-1: cosa rappresenta?

Nel marzo 2016 l’Agenzia spaziale cinese (CNSA) annunciava che la sonda spaziale Tiangong-1 era fuori controllo e stava precipitando verso la Terra, prevedendo la possibile collisione "in un qualche momento della seconda metà del 2017". Oggi a distanza di un anno dal primo comunicato un nuovo dispaccio della stessa Agenzia alle Nazioni Unite annuncia che il ‘Palazzo celeste’ (questa è la traduzione dal cinese della sonda) impatterà sulla superficie della Terra entro i prossimi 7 mesi al massimo. "Tiangong-1 si schianterà sulla Terra tra ottobre 2017 e aprile 2018", recita il dispaccio con l’assicurazione che Pechino monitorerà attentamente il rientro del laboratorio da 8,5 tonnellate il quale ha già raggiunto gli strati più esterni dell'atmosfera. Le altre Agenzie Spaziali che operano sulla Terra non sono nuove a questi comportamenti dell’Agenzia CNSA e non si mostrano rassicurate da questi proclami. Una sonda di tali dimensioni che entra negli strati più densi accelererà la sua corsa ma alcune sue parti pesanti anche 100 chilogrammi potrebbero perforare l’ombrello protettivo dell’atmosfera terrestre, schiantandosi poi sulla superficie. Tuttavia fino a 6-7 ore dallo schianto non sarà possibile prevedere quando, e quindi nemmeno dove. "Ora che il suo perigeo (il punto più vicino alla Terra nell'orbita descritta dalla stazione, ndr) è sotto i 300 km ed è in un'atmosfera più densa, la probabilità di caduta sta aumentando", ha detto Jonathan McDowell, astrofisico dell'Università di Harvard e esperto dell'industria spaziale. "Mi aspetto che precipiterà tra qualche mese,alla fine del 2017 o all'inizio del 2018" ha spiegato al Guardian che ricorda come la stazione spaziale sia stata utilizzata per le missioni con e senza equipaggio e abbia anche ospitato la prima astronauta donna cinese, Liu Yang, nel giugno 2012, la prima taikonauta (taikonauta, da ‘taikon’ spazio, è usato nel mondo occidentale per identificare un astronauta cinese).

Il "Palazzo Cinese", era stato lanciato in orbita nel 2011 con la previsione che rispondesse ai comandi da Terra per almeno due anni. L’ obiettivo in tal senso è stato raggiunto, come ha voluto sottolineare la CNSA, ma Tiangong-1, sarebbe dovuta rientrare in modo controllato, con un impatto previsto nell'Oceano Pacifico, mentre è sfuggita ai controlli dell’Agenzia, rendendo impossibile prevedere quando e dove si schianterà. L'Agenzia ha alla fine annunciato dopo due mesi di tentennamenti che in seguito ad una serie di guasti ed avarie che ne hanno compromesso il funzionamento, non sarà più possibile pilotare l'impatto della stazione con la superficie Terra, in modo da limitare i danni il più possibile.

 

Un’immagine sullo schermo del Jiuquan Space Center mostra la stazione internazionale cinese Tiangong-1, di cui la Cina ha annunciato di aver perso il controllo. STR/AFP/GettyImages

Pechino ha dato il primo annuncio pochi mesi prima del lancio in orbita della sua seconda stazione spaziale, Tiangong-2, avvenuto il 15 settembre del 2016, e che di fatto ha sostituito la dismessa Tiangong-1, in orbita dal 29 settembre del 2011, di cui si sono persi i contatti nel marzo del 2016. Mossa di facciata, qualcuno penserà, dopo quasi un semestre di silenzi, allo scopo di far entrare la Cina a pieno titolo nel novero delle superpotenze spaziali.

Il programma Tiangong, anche conosciuto come Progetto 921-2, iniziò nel 1992 per avviare la Cina ad un programma di voli spaziali con equipaggio tutto suo. Autorizzata ufficialmente nel 1999, rese chiari i propri obiettivi, cioè di avere una stazione spaziale, oltre che poter mandare astronauti cinesi in orbita, senza nascondere altri obiettivi come quello di poter competere con l'ISS. Nel 2001, il programma fu diviso in tre fasi, per permettere di realizzare gli obiettivi a tappe, la prima fase, con la finalità di portare il primo uomo di nazionalità cinese in orbita intorno alla Terra; la seconda, immettendo in orbita un laboratorio spaziale abitato per brevi periodi e lasciato senza equipaggio per la maggior parte della sua missione; e infine la terza fase, spedendo in orbita un laboratorio spaziale più grande, ed abitato costantemente.

C’è tutto un passato di analogie. Tiangong-1 richiama alla mente la stazione spaziale russa Mir (in russo significa sia mondo che pace), una stazione del tipo modulare, composta da diversi moduli lanciati separatamente e successivamente assemblati nello spazio. L'assemblaggio infatti iniziò il 20 febbraio 1986, però il suo completamento impegnò oltre un decennio.

La Mir ebbe una vita doppia di quella prevista (durò in vita 15 anni rispetto ai 7 previsti), orbitò intorno alla Terra per 86 325 volte, percorrendo circa 3.638.470.300 km ad un'altezza media di 390 km sopra la superficie terrestre. Della sua massa di più di 124 ton arrivò sulla Terra ben poco in quanto la stazione fu fatta deorbitare più volte attorno alla Terra proprio per eroderne la massa il più possibile attraverso l’attrito atmosferico. La stazione russa fece il suo rientro distruttivo programmato il 23 marzo 2001 nella zona precedentemente calcolata, con i residui ammarati nell'Oceano Pacifico presso le isole Figi.

Difficile conoscere quanto della massa è entrata in contatto con le acque dell’oceano Pacifico, ma dal bagliore sprigionato dai pezzi residui dalla frammentazione della stazione, i frammenti dovevano avere una notevole massa. Si può tentare solo una stima approssimativa: se per la stazione cinese di 8,5 ton, gli esperti della NASA prevedono parti residue di 100 chili (soprattutto quelle costruite in titanio e in fibra di vetro che arriveranno sulla Terra a quasi 300 chilometri all’ora in una regione sconosciuta del pianeta), per una stazione di più di 100 ton come quella russa, si presume si siano schiantati in mare frammenti decisamente più grossi, anche di qualche tonnellata.

La stazione spaziale Mir e i suoi frammenti, nel loro rientro il 23 marzo 2001 al Punto Nemo -il ‘cimitero dei satelliti’ -dopo 15 anni di attività

Lo stato dell’arte

L’ultimo censimento degli oggetti di fabbricazione umana che orbitano attorno la Terra mostra che circa l’80% appartiene alla classe dei satelliti cosiddetti “defunti” che rischiano di creare problemi a tutta la costellazione, impedendo la consueta erogazione dei servizi da parte dei satelliti delle aziende e, dato più allarmante, di pioverci addosso come nel caso della stazione cinese Tiangong-1 che addirittura sta dirigendosi senza controllo sul nostro pianeta.

Quanti sono i satelliti integri? Secondo l’ultimo rapporto disponibile dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Spaziali Esterni al 31 agosto 2016 erano in orbita 4256 satelliti artificiali. In realtà solo uno su tre (33%) funziona ancora, vale a dire poco più di 1400, anche se questa stima andrebbe riaggiornata a distanza di 2 anni: tutti gli altri sono “spazzatura spaziale” inerte e continuano a orbitare intorno alla Terra fino a quando gli urti con i micrometeoriti e gli stessi artefatti umani di più piccola dimensione li rallentano a sufficienza da farli precipitare. Dal 1957 a oggi sono stati mandati in orbita circa 6000 satelliti, dei quali 400 impiegati per missioni interplanetarie e solo 800 ancora operativi.Nel deteriorarsi, i satelliti dismessi possono generare detriti, proiettili pericolosi per i satelliti funzionanti. La rimozione dei satelliti dall’orbita quando non funzionano più, o come si usa dire in gergo il decommissioning o il cosiddetto orbit clearance, è un problema cruciale. Per quanto riguarda i satelliti già in orbita, pensando soprattutto a quelli più vecchi ormai obsoleti, esiste un modo per poterli recuperare e per limitare la problematica ambientale che generano e genereranno in futuro? Si tratta di una nuova frontiera, esistono oggi diversi studi: molte università e agenzie spaziali stanno studiando tecnologie per andare a recuperare i vecchi satelliti o quelli non funzionanti. Questo tipo di missioni vengono definite ADR (Active Debris Removal). Nei prossimi cinque anni verranno realizzati tanti lanci nello spazio quanti ne sono stati effettuati dal 1957 ad oggi. L’uso civile e commerciale dei satelliti prevarrà rispetto a quello militare, ovvero ci sarà un mercato florido di programmi spaziali con finalità di profitto: un’attività industriale complessa con obiettivi di lungo periodo a cui si collegano rischi molto particolari. Sarà un’interessante sfida innovativa per i risk manager e per gli operatori del mercato assicurativo e riassicurativo, che potranno proporre nuove soluzioni a fronte di un’importante crescita del volume di premi, visto che un programma spaziale può presupporre anche l’operatività dell’uomo nello spazio. Si sta sempre più affermando l’idea di come lo spazio sia oramai anche un mercato molto importante nell’economia globale. La space economy è uno dei settori con sviluppo a due cifre negli ultimi anni, e la crescita resterà sostenuta.

E’ noto da tempo che la popolazione di artefatti umani che popolano lo spazio circumterrestre sta crescendo a dismisura, in modo esponenziale, al punto da prospettarci quella che viene definita la ‘sindrome di Kessler’, uno scenario ipotizzato da Donald Kessler, astrofisico e consulente della NASA, che renderebbe inservibile tale spazio nell’ipotesi che la concentrazione di detriti salga al di sopra di una certa soglia, con la possibilità che una collisione possa provocare una reazione a catena di scontri tra satelliti e detriti. La concentrazione dei detriti diventerebbe, infatti, talmente alta da impedire ogni possibilità di lancio spaziale per diverse generazioni. Uno scenario apocalittico, considerato che il 70% della tecnologia che usiamo oggi dipende dallo spazio: non solo le telecomunicazioni, ma anche la meteorologia, il monitoraggio di terremoti, catastrofi naturali, incendi, e addirittura la ricerca di acqua nelle zone desertiche.

Nello spazio circumterrestre ci sono milioni di detriti spaziali creati dai satelliti giunti a fine vita. La maggior parte di questi sono di piccole dimensioni, anche inferiori a un centimetro ma circa 30 mila superano i 10 centimetri. Si tratta di oggetti che rappresentano un grosso pericolo per i satelliti ancora funzionanti, che rischiano di essere danneggiati in caso di impatto. Un oggetto più grande di 1 cm che colpisca un satellite può danneggiare o distruggere i sotto-sistemi o gli strumenti di bordo e una collisione con un oggetto più grande di 10 cm distrugge il satellite. A terra, gli effetti a catena dei satelliti danneggiati, dalla riduzione della produttività alla paralisi della comunicazione, evidenziano ulteriormente l'impatto di vasta portata dei detriti spaziali. Anche i detriti più piccoli, viaggiando a velocità elevate (circa 10 km/s), possono trasformarsi in proiettili. Non è l'unico rischio, perché molti satelliti hanno batterie e propellente al loro interno e perciò rischiano di esplodere provocando una dispersione ancora maggiore di frammenti.

Per impedire che si verifichi uno scenario tanto allarmante, le Agenzie di tutto il mondo stanno studiando vari accorgimenti come quello del Point Nemo (in onore del capitano del Nautilus, uscito dalla penna di Jules Verne), il punto più remoto da ogni terra emersa sul pianeta (S 48° 52,6’ e a O 123° 23,6’), e pressochè inaccessibile nell'oceano Pacifico meridionale, a 2.688 chilometri dalle terre più vicine: l'isola di Ducie a nord, l'isola di Motu Nui a nord-est e quella di Maker a sud. Si trova infatti talmente lontano dalle coste che gli esseri umani più vicini risultano spesso gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, che sorvola la Terra a un'altitudine massima di 432 chilometri. Proprio per questo motivo la Nasa, e altri enti spaziali hanno deciso di trasformarlo nel cimitero dei satelliti che vengono fatti rientrare nell’atmosfera terrestre al termine della loro vita. Un cimitero piuttosto vasto, dunque, in quanto l’area priva di isole abitate si estende per circa 17 milioni di chilometri quadrati, ossia 56 volte più grande dell’Italia.

Point Nemo (S 48° 52,6’ e a O 123° 23,6’ ) prende il nome da capitano Nemo, il protagonista del celebre romanzo di Jules Verne “20.000 leghe sotto i mari”, ed è un “polo di inaccessibilità”, vale a dire il punto dell'oceano più lontano da qualsiasi terra emersa.

La posizione reale di Point Nemo è stata calcolata nel 2004 dall’ingegnere geodetico croato Hrvoje Lukatela che ha dovuto prima ipotizzarne l’esistenza e poi cercare tre punti, tra milioni di possibilità, che fossero sulla terra emersa (per la precisione su una costa), e avessero la stessa distanza da Point Nemo. Quando si studia il rientro di un satellite fuori uso, si calcola la traiettoria in modo che esso bruci durante l’attraversamento dell’atmosfera così che solo piccole parti riescono a raggiungono l’oceano.

L’Agenzia Spaziale Europea (ESA), quella russa e quella giapponese hanno a lungo usato quella zona per far precipitare mezzi spaziali come satelliti, capsule di carico e pure la stazione spaziale russa Mir, la cui missione è finita nel 2001. I detriti dei mezzi spaziali fatti precipitare vicino a Point Nemo sono finiti sul fondo dell’Oceano, oppure galleggiano sulla sua superficie in piccoli pezzi dato che al rientro nell’atmosfera satelliti e simili bruciano e si disgregano. Alcuni pezzi di Mir ad esempio sono arrivati sulle spiagge delle Isole Fiji, mentre probabilmente le parti più pesanti sono affondate. Il Punto Nemo è stato raggiunto dal 1971 al 2016 da almeno 260 tra veicoli spaziali e satelliti rientrati e il numero è in continua crescita. Sul Punto Nemo si è fantasticato molto prima che l’ingegnere croato ne calcolasse la posizione. La sua esistenza era già stata immaginata da Howard Phillips Lovecraft, uno tra i maggiori scrittori di letteratura horror insieme ad Edgar Allan Poe e considerato da molti uno dei precursori della fantascienza angloamericana. Lo scrittore immaginò come posizione della città sottomarina di R’lyeh, in cui dovrebbe vivere una mostruosa divinità, un punto molto vicino a Point Nemo, di coordinate S 47° 9′, O 126° 43′. Circa 20 anni fa, nel 1997 una squadra di oceanografi della National Oceanic and Atmospheric Administration, un’agenzia federale statunitense che si occupa meteorologia, registrò poco lontano da Point Nemo un suono sottomarino misterioso, soprannominato “Bloop“ e per questo molte persone fantasticarono sull’origine di questo suono, probabilmente suggestionate dalla storia di R’lyeh. Si capì poi che il suono era stato prodotto da pezzi di ghiaccio che si erano spaccati.

Fantascienza a parte, tornando al nostro cimitero spaziale, dovremmo avere ben poche preoccupazioni se i rientri dei satelliti defunti fossero pilotati. Malauguratamente non è così. Questo è il caso della piccola stazione spaziale cinese – Tiangong-1 ormai fuori controllo in rotta di collisione con la Terra.

Una nuova sindrome: un confitto mondiale a causa dei debris?

Uno studio della NASA datato 10 anni fa, esattamente nel 2006 evidenziava che la densità dei debris era già ‘supercritica’ nel­le orbite LEO in cui si erano verificati eventi catastrofici tra oggetti spaziali. Questo significa che le collisioni tra oggetti spaziali creeranno de­bris addizionali più velocemente di quanto il drag (frenamento) atmosferico sarà in grado di asportare i debris dall’orbita. Ve­nendo generati più frammenti, questo fe­nomeno alimenterà una reazione a catena o darà origine a un effetto a cascata che farà crescere a dismisura in futuro il nume­ro dei debris in questa regione. Il fatto che questa regione sia già supercritica sta a significare che le misure di mitigazione, anche se importanti, non sono sufficienti e una risposta in tal senso è arrivata con due incidenti catastrofici avvenuto tra oggetti spaziali nel 2009 e 2013, vale a dire dopo lo studio della NASA

La prima e la più grande formazione di detriti spaziali dovuta a collisione è avvenuta infatti il 10 febbraio 2009 alle 16:56 UTC. Il satellite inattivo Cosmos 2251 ed il satellite operativo Iridium 33 si sono scontrati a 789 chilometri di altezza sopra la Siberia settentrionale. La velocità di impatto relativa è stata di circa 11,7 km/s (42.120 km/h). Entrambi i satelliti sono andati distrutti. La collisione ha prodotto una considerevole mole di detriti (in numero stimato di 1.700) che costituiscono un rischio aggiuntivo per i velivoli spaziali. Un altro grande scontro avvenne il 22 gennaio 2013 tra il detrito provocato dall'esplosione del satellite cinese Fengyun 1-C e il nano-satellite russo Blits (lanciato il 17 settembre 2009) del peso di 7,5 kg circa, impiegato per esperimenti di riflessione di raggi laser. La collisione tra il detrito spaziale cinese e il satellite russo avrebbe fatto cambiare la sua orbita e la sua velocità di rotazione e assetto.

In questa analisi della formazione di detriti aggiuntivi, dobbiamo includere gli effetti dell’esplosione intenzionale del citato satellite meteorologico cinese Fengyun 1-C (massa di 750 kg), che ha prodotto la nube di detriti più massiccia della storia.

Gli effetti di questo ed altri eventi catastrofici potrebbero al limite scatenare un conflitto armato. Questa affermazione certamente a prima vista sorprendente e tutt’altro che rassicurante è la conclusione di un report stilato dalla Russian Academy of Science, che è stato pubblicato sulla rivista Acta Astronautica.

Secondo Vitaly Adushkin del'Accademia Russa delle Scienze, Istituto di Dinamica della Geosfera, già autore nel 2008 di un libro sul tema (Catastrophic Events Caused by Cosmic Objects), se un frammento tecnologico dovesse danneggiare o distruggere il satellite militare di qualche Paese, sarebbe problematico dimostrare che si sia trattato di un semplice incidente e non di un attacco volontario messo in atto da una potenza rivale. In certe condizioni, le collisioni tra i satelliti attivi e detriti spaziali potrebbero innescare addirittura un conflitto mondiale e in questo contesto i detriti spaziali presentano un 'pericolo politico speciale'. Il ricercatore cita il caso ipotetico in cui un satellite venga distrutto da una collisione con un oggetto sconosciuto e un tale incidente sia interpretato come un attacco intenzionale, facendo precipitare l’umanità in un conflitto armato tra le nazioni tecnologicamente avanzate nelle scienze spaziali. E’ stata una fortuna che nell’incidente catastrofico del 2009 tra il satellite inattivo Cosmos 2251 ed il satellite operativo Iridium 33 adibito alla telefonia commerciale, l'impattore contro il satellite orbitante sia stato identificato in quanto già precedentemente tracciato. Se poi a farne le spese – continua Adushkin - fossero alcuni satelliti preposti alla sicurezza nazionale in grado di fornire informazioni chiave in tempo reale richieste dai militari e capi di governo, il cui costo stimato si aggirerebbe attorno a un miliardo di dollari, una qualsiasi perdita di informazioni o stop nella loro attività non attribuibile ad una collisione fortuita accertata, potrebbe venir interpretata come un possibile attacco da parte di una potenza nemica. Nel caso che un evento del genere si verifichi in coincidenza con una crisi geopolitica estrema, non potrebbe essere escluso a priori un’escalation che potrebbe innescare al limite un conflitto di vasta portata.

Ovviamente, tali scenari rappresentano un caso estremo assolutamente da evitare facendo ricorso ad ogni tipo di tecnologia, sistema e capacità operativa per poter identificare in modo definitivo il proiettile cosmico, ma viene da sé ammettere che questo tipo di risorsa non è attualmente disponibile. Inoltre, data l'entità della crescita della popolazione dei detriti in orbita e l’inadeguatezza degli investimenti necessari per identificare e rintracciare ogni oggetto sospetto, è altamente improbabile che un tale controllo potrà essere efficace anche nel futuro. Con tutto questo, la questione dei detriti spaziali rimane un enigma di difficile soluzione che potrebbe cambiare la vita della nostra intera civiltà. L'analisi di Vitaly Adushkin sposta quindi il tiro sul versante politico, sottolineando che “il proprietario di un satellite andato distrutto è difficilmente in grado di determinare rapidamente la vera causa dell'incidente”. A tale proposito il ricercatore russo afferma che negli ultimi decenni ci sono stati svariati danneggiamenti "sospetti" a satelliti operativi, “le cui cause sarebbero imputabili tanto alla collisione con un rifiuto spaziale quanto all'azione aggressiva di una superpotenza” (sic!). “E questo”, scrive, “è un dubbio politicamente pericoloso”.

Gravity, film di fantascienza ‘realistica’ del regista messicano Alfonso Cuarón prodotto nel 2013 nel quale il problema dei detriti spaziali in un futuro ravvicinato comincia a diventare un vera e propria calamità ambientale

Gravity è un film del regista messicano Alfonso Cuarón prodotto nel 2013, e rientra nel lotto dei film di fantascienza a nostro parere ‘realistici’ in quanto immagina un possibile futuro ravvicinato, nel quale il problema dei detriti spaziali comincia a diventare un vera e propria calamità ambientale. Non basta una storia ambientata nel cosmo, popolato da navette spaziali, stazioni orbitanti e avventure di esseri umani nello spazio per connotare un film di fantascienza. Anche Apollo 13 un film del 1995, ispirato al libro Lost Moon, aveva questi elementi ma non è un film di fantascienza in quanto ricostruiva fatti realmente accaduti nel 1970. La distruzione da parte dei russi di un loro vecchio satellite crea una nuvola di detriti fuori controllo che a loro volta innescano una reazione a catena che ha distrutto altri satelliti e creato un’onda di detriti che si muove ad altissima velocità dalle drammatiche conseguenze e che moltiplica i frammenti rendendo lo spazio impraticabile. Gli attori principali sono gli astronauti partecipanti a una missione di manutenzione al telescopio orbitante Hubble. Il veicolo che avrebbe permesso al team di rientrare alla Stazione Spaziale Internazionale viene distrutto e i due astronauti - Ryan Stone (Sandra Bullock) e il Matt Kowalski (George Clooney) - si trovano alla deriva nello spazio cercando di trovare un modo per salvarsi la vita nell’ambiente ostile del vuoto cosmico. Sembra proprio che il regista si sia ispirato ad un evento realmente accaduto alcuni anni prima, per intenderci quello dell’esplosione del satellite meteorologico cinese Fenjung-1C fatto esplodere a livello dimostrativo dalla stessa Agenzia spaziale cinese e che ha prodotto quasi 3000 grossi debris, una nuvola di frammenti senza controllo che ha già danneggiato alcuni satelliti in orbita. In questo contesto, nel 2013 la missione del satellite russo Blits fu interrotta anzitempo a seguito dell'impatto con uno sciame di frammenti di un satellite meteorologico fuori uso (Fengjun-1C) distrutto dalla Cina sei anni prima. Per smantellarlo i cinesi si erano serviti di un missile l'incidente apparentemente non scatenò frizioni internazionali, ma al di là della dimostrazione delle capacità anti-satellite del colosso orientale, molti interpretarono l’evento esplosivo come un’esibizione ‘muscolare’ da pare della Cina, tanto più che l’operazione di distruzione del satellite è avvenuta senza preavviso da parte dell’agenzia spaziale cinese, mostratasi incurante dei danni arrecabili alle costellazioni di satelliti attivi.

Una tecnologia italiana per rimuovere i detriti spaziali

Agli inizi del 2017, l’Agenzia Giapponese di Esplorazione Aerospaziale (JAXA), ha annunciato il fallimento della missione per il netturbino spaziale ‘made in Japan’, KITE (Kounotori Integrated Tethered Experiment), lanciata lo scorso 10 dicembre 2016 insieme al cargo rifornimenti per la ISS, Kounotori. Il dispositivo sperimentale aveva lo scopo di spostare i detriti spaziali verso un’orbita più bassa per farli disintegrare a contatto con l’atmosfera.

Questo insuccesso ha fatto comprendere che le operazioni della rimozione e spostamento degli oggetti spaziali defunti sono non solo costose ma anche molto complicate. Ma c’è un altro aspetto da evidenziare. Nella maggioranza dei casi fino ad ora rilevati, i sistemi propulsivi a bordo dei satelliti non sono ottimizzati per le manovre di fine vita, portando a operazioni di lunga durata che, oltre al costo e alla difficoltà, in caso di guasto non possono comunque essere eseguite.

D-Orbit è una nuova tecnologia made in Italy che aiuta decisamente gli operatori a rimuovere i satelliti al termine della loro operatività mantenendo le orbite pulite e riducendo il rischio di pericolose collisioni con altri oggetti orbitanti e con le attività esterne degli astronauti.

Dalla fine di giugno 2017 è in orbita D-Sat, un satellite orbitante ideato per auto-disattivarsi. Progettato e costruito nei laboratori di Fino Mornasco (CO) dalla startup D-Orbit (fondata nel 2011 da Luca Rossettini, ingegnere aerospaziale che ha lavorato per un certo tempo alla NASA) dimostra la validazione dell’innovativa procedura di recupero satellitare sulla quale l’azienda ha lavorato negli ultimi 6 anni.

Il dispositivo D-Orbit, una tecnologia italiana nata per disinquinare lo spazio, intesa a portare la sostenibilità nello spazio circumterrestre, così come si è già fatto con i fiumi e i mari

La filosofia di D-Orbit è del tutto nuova perché è intesa a portare la sostenibilità nello spazio, una via che consente di proteggere la nostra biosfera dall’insidia dei debris che popolano lo spazio circumterrestre senza, nel contempo, rinunciare alle tecnologie. Il dispositivo permette di rimuovere dalle loro orbite in modo veloce, sicuro ed economico i satelliti alla fine della missione, che vengono richiamati a Terra (e indirizzati all’occorrenza al Punto Nemo), evitando così la proliferazione dei detriti spaziali e nel contempo aprendo prospettive interessanti per un loro possibile recupero, in futuro, direttamente in orbita. In buona sostanza, D-Orbit è nato con le finalità di disinquinare lo spazio, così come si è già fatto con i fiumi e i mari, applicando allo spazio i principi alla base dell’approccio di The Natural Step, un’organizzazione che sostiene imprese e comunità nella transizione verso modelli più sostenibili.

Questo innovativo progetto è stato premiato dalla Commissione Europea nel Programma Horizon 2020-SME Instrument e al Red Herring Global tra le 100 aziende al mondo più innovative e promettenti al punto che D-Orbit verrà lanciata sul mercato con la ‘benedizione’ dell’ESA, che dopo un’indagine indipendente condotta nel 2013, ha dimostrato che la tecnologia messa in campo è la più efficiente per rimuovere i satelliti a fine vita.

Conclusioni

Oggi, purtroppo, dobbiamo accettare la scomoda verità che ci troviamo alle porte di casa una discarica ormai fuori controllo. Quello dei detriti spaziali è un problema di cui ci si è accorti con molto ritardo, solo negli anni 2000, e che ciononostante non è ancora percepito così urgente da attirare investimenti sufficienti. La minaccia ipotizzata nel rapporto russo stilato dalla Russian Academy of Science, che è stato pubblicato sulla rivista Acta Astronautica è forse enfatizzata ma punta il dito sulle conseguenze derivanti dal grado attuale di inquinamento dello spazio circumterrestre e anche da quello previsto in una prospettiva non lontana nel tempo. L'orbita LEO a 800 chilometri di distanza (dove ci sono i satelliti utilizzati per scopi scientifici o militari) e quella GEO a 32 mila chilometri (popolata dai satelliti per le comunicazioni) sono già superaffollate di detriti. Anzi, nella prima è stato già raggiunto il punto di saturazione. E consideriamo che se attualmente i lanci effettuati ogni anno sono un centinaio, in futuro si parla di moltiplicarli a dismisura, rendendo il problema dei detriti esponenziale. La portata dei dati più recenti e le sue conseguenze non sono più eludibili: lo dicono circa 30 mila rottami grandi oltre 10 centimetri, mezzo milione di schegge che vanno da 1 a 10 cm, e 100 milioni di particelle ancora più piccole nell'orbita terrestre bassa (la fascia che va da 160 e 2000 km di altitudine).Ma non è l'unico rischio, perché molti satelliti hanno batterie e propellente al loro interno e perciò rischiano di esplodere provocando una dispersione ancora maggiore di frammenti, rendendo lo spazio impraticabile