Nei giorni scorsi il Comune di Torri in Sabina e l’Opera Pia “San Giovanni Battista” hanno
organizzato il convegno “Vocazione Futuro” cercando di mettere a fuoco le potenzialità della
comunità locale da poter spendere nella nuova società che avanza.
Una iniziativa lodevole che supera la visione assistenzialistica dei provvedimenti a pioggia e si
interroga sulle potenzialità delle risorse umane e materiali del territorio che possono competere a livello globale.
La gente sabina ha mantenuto intatte le sue caratteristiche antropologiche, non a caso Cicerone, in un aneddoto, riferisce che a Roma si era diffusa l’abitudine di fingersi sabini per guadagnare la pubblica stima. Se analizziamo i comportamenti quotidiani dei sabini possiamo desumere tutta una serie di comportamenti fondati su riserbo, ritegno, discrezione, segretezza, riguardo, ritrosia, accompagnati da prudenza, circospezione, precauzione, cautela.
Un popolo che ha sempre potuto contare su una notevole prosperità grazie alla fertilità della terra e, anche, alla vicinanza del fiume Tevere e della via Salaria, fondamentali vie di comunicazione che hanno facilitato lo sviluppo dei rapporti con le altre popolazioni della zona come Umbri, Etruschi e Romani.
La realtà socio economica del territorio è stata analizzata da relatori molto qualificati che hanno evidenziato luci ed ombre del momento storico che vive la realtà comunale: Sono state poi presentate una serie di testimonianze di buoni prassi attivate in altri territori sia regionali che nazionali. In questa società liquida globalizzata si parla tanto di ricucire il tessuto sociale lacerato dalla rottura del patto generazionale e sulla necessità che le generazioni precedenti debbano fare sacrifici per le generazioni future. A livello sabino questa rottura non c’è stata e le famiglie sperimentano tutte le soluzioni possibili, anche, in assenza della politica che non ha un progetto, per infondere speranza e fiducia nel futuro.
La principale caratteristica dei popoli sabini è il realismo, bisogna smettere di promettere tagli alle tasse, in questa fase il Paese non se lo può permettere. Ci vorrebbero invece più investimenti in ammortizzatori sociali, più che parlare di reddito di cittadinanza bisognerebbe parlare di capitale di cittadinanza. I popoli sabini non si sono mai aspettati dei regali, ma non è neanche giusto che vengano fatti sacrifici da milioni di persone e poi il frutto di questi sacrifici vada a vantaggio di pochi. Il vantaggio di vivere nel ventunesimo secolo è in fondo anche questo: avere uno Stato in grado di dare fiducia al cittadino.
Quindi lo Stato dovrebbe poter erogare prestiti. Se sono un cittadino italiano devo aver diritto a un minimo di capitale che lo Stato può prestarmi: posso decidere di utilizzarlo per arredare la casa, o aprire una startup, o seguire un corso di formazione.
In questo modo il Paese dimostra la volontà di investire nella propria popolazione. Ovviamente poi ci sarà da disegnare la cornice di questo provvedimento: potrebbe essere previsto solo per determinate fasce di reddito e magari una sola volta nella vita, o in un determinato periodo della vita. La Unione Europea potrebbe approfondire questo tipo di politica se vogliamo formare dei cittadini per l’Europa.
E’ il momento di dare spazio alle “società benefit”. Dobbiamo trovare il modo di “sfruttare
economicamente” l’immenso patrimonio artistico e culturale che abbiamo. Darli in gestione ai privati.
Bisogna trasformare i beni culturali in un grande motore, non dobbiamo percepirli come un peso, perché sono e possono essere una sterminata fonte di ricchezza e di lavoro. Lo Stato non se ne può occupare, deve affidare la gestione a qualche grande azienda.
Occorre utilizzare al meglio le opportunità occupazionali che la società digitale ci offre, analizzando le conseguenze dello scollamento creato tra presenza e localizzazione, un ufficio può chiudere se la pratica riesco a definirla stando seduto nello studio di casa, non è più necessario che mi reco sul posto. I beni artistici e culturali, invece, non permettono lo scollamento tra presenza e localizzazione. Sono cose uniche che ci obbligano ad andare sul posto per visitare il Santuario di Vescovio, la città di Forum Novum, la villa romana di Cottanello, ecc. La Sabina, l’Italia hanno le potenzialità per diventare la massima potenza di tutti i tempi nell’economia dell’esperienza. Dall’agriturismo al museo, dalla fabbrica che produce ceramica artistica o scarpe su misura, ai produttori di vino o di olio, siamo in grado di offrire esperienze uniche. Eppure è come se ci sembrasse poco serio trarre ricavi dall’esperienza e dalle nostre abilità figlie dell’intelligenza. Invece dovremmo.
L’altra grande ricchezza della sabina è l’economia verde, di qualità, caratteristica di questi territori agricoli, dove gli appezzamenti sono di dimensioni limitate, non permettono di lavorare su economie di scala ma sulla qualità tipica e certificata dei prodotti.
Ma l’economia verde e l’economia dell’esperienza per prosperare hanno bisogno di allearsi con l’economia digitale. Una buona politica oggi deve cercare di coniugare gli interessi della salubrità dei territori con l’economia verde e della cultura, supportate dall’economia digitale e dell’informazione. Come Sabini ci sconcerta questo tipo di società che modifica continuamente le nostre abitudini e il nostro modo di essere, ma una certezza ci sostiene, la convinzione che non tutti i lavori potranno essere rimpiazzati dai robot, soprattutto quelli che riguardano l’economia dell’esperienza, formazione, sanità, turismo, e per garantire questo dobbiamo fare in modo di conservare il più possibile e in tutti i modi la memoria storica che ci contraddistingue.

 

Santuario di Vescovio