Un´altra di Trump

... e Putin ne approfitta!

E come Mosè diede i Dieci Comandamenti ricevuti da Dio agli Israeliti, così Trump assegna agli stessi la nuova capitale, Gerusalemme.

Solo che Trump non è Mosè, ma una espressione dell´antipolitica contemporanea, che riesce a tessere intorno a sè, nell´attuale atlante politico così come lo conosciamo, una molteplicità di domande senza risposta, tenendole insieme con un unico filo che svolge il ruolo di protagonista e antagonista nello stesso tempo.

Trump rappresenta, inoltre, un “fenomeno nuovo della democrazia recitativa”, per ricordare la definizione datagli dallo storico Emilio Gentile, ovvero la conferma della tendenza a stabilire un rapporto diretto e quasi personale tra il capo e la folla e a scavalcare le strutture tradizionali. Gli Americani, o meglio, la classe media degli Stati centrali, che maggiormente soffre gli effetti della globalizzazione e della diminuzione dei salari, ha votato Trump per reazione, appunto, alla globalizzazione, vista come fenomeno destabilizzante della società e per riscattare il senso dell´ orgoglio e dell´identità nazionale, ferito, negli anni, dalle politiche di Clinton, Busch e Obama. Quest´ultimo, in particolare, viene dai più considerato come un presidente che ha abbandonato l’America in balia di un ciclo storico, che ha visto primeggiare solo altre grandi potenze.

A tal proposito ricordiamo il mitico Clint Eastwood, l'attore e regista 85enne, che alle primarie ebbe a dire: «Chiunque sarà meglio di Obama». Certo che la speranza è l´ultima a morire per coloro che lo hanno votato, ma sarà all´altezza Trump di non deludere i propri elettori?

La comunità internazionale si pone tuttora una domanda: Trump è un soggetto pericoloso o un abile attore?

Di certo egli non vanta la carriera cinematografica di Ronald Reagan, ma può contare su un discreto curriculum cinematografico, per lo più con alcune piccole comparsate in differenti film e serie TV oltre al noto reality show “Apprentice”.

Ciò nonostante, come se si tratasse, oramai, di un commediante di successo, questa potrebbe essere la “grande sparata” del miliardario dall'ego faraonico allorchè, nel suo discorso alla Casa Bianca, annuncia ufficialmente: "... è il momento di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele", aggiungendo, "Non si può continuare con formule fallimentari. La scelta di oggi è necessaria per la pace".

Con una semplice e breve dichiarazione, l´antipolitico Trump ritiene di aver posto fine a decenni di lotte e di falliti accordi di pace tra Israeliani e Palestinesi, in cui gli USA, tra l´altro, si sono sempre adoprati come mediatori di rispetto.

Solo Trump e, naturalmente, il premier Benjamin Netanyahu, che commenta la dichiarazione del primo: “Passo importante per la pace”..., “Una pietra miliare”..., “Una decisione storica”..., sognano che detta decisione possa portare davvero alla pace, anche se sognare in due non vuol dire necessariamente sognare la stessa cosa, specie se si tratta di sogni... ad occhi aperti.

Altro che pace, anzi la decisione unilaterale Usa ha gettato il Medioriente e il mondo diplomatico nel caos. Essa, infatti, preoccupa tutti i capi di Stato, dalla Russia alla Cina e a Londra. Il fragile equilibrio mediorientale rischia seriamente d´incrinarsi in modo irreversibile e definitivo; è impensabile che si possa partire così, lancia in resta, in una delle questioni più complicate ed esplosive della geopolitica mondiale.

“Passo importante per la pace?” macché! Hamas minaccia: " (Trump) Apre le porte dell'inferno".

L´ONU, dal canto suo, in persona del segretario generale, Antonio Guterres, critica la decisione unilaterale americana e persino il Pontefice esorta gli USA a lasciare le cose per come stanno, mentre il presidente palestinese Abu Mazen, in un discorso alla Nazione, afferma: "La decisione odierna di Trump equivale a una rinuncia da parte degli Stati Uniti al ruolo di mediatori di pace".

Emmanuel Macron, Theresa May e Angela Merkel contestano fermamente la decisione di Trump. Egitto e Turchia si associano alla protesta internazionale accompagnati dal ministro degli Esteri del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani che dichiara: "Una pericolosa escalation, una sentenza di morte per la pace".

“Grave è la preoccupazione per l'annuncio odierno del Presidente americano su Gerusalemme” ha dichiarato l'alta rappresentante per la Politica estera dell'Unione europea, Federica Mogherini, e sulla stessa linea, il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, ha esortato a definire il futuro di Gerusalemme "nell'ambito del processo di pace basato sui due Stati, Israele e Palestina". Putin, infine, secondo quanto riferisce Russia Today, ha definito la scelta di Trump «destabilizzante, che non aiuterà a risolvere la situazione» e che, al contrario, «provocherà conflitti».

È chiaro, a questo punto, che l´inaspettata presa di posizione americana darà lo spunto alle fazioni estremistiche a intraprendere una guerra di religione, che coinvolgerà ancora una volta di più l'intera regione (Iran, Siria, Turchia e Paesi del Golfo, in particolare) in una serie di conflitti senza fine.

La decisione di Trump avrà una reazione a catena lineare, difficilmente controllabile nello scacchiere mediorientale e nelle intricate relazioni con il mondo arabo, esacerbando gli animi persino dei moderati su uno dei temi più scottanti non solo per il popolo palestinese, ma, sicuramente, per tutti gli Stati a maggioranza musulmana, che rigettano a priori la mera possibilità che Gerusalemme possa essere capitale dello Stato di Israele.

Trump, il politicamente scorretto, ha suscitato, con la sua sparata, un pericoloso vespaio; ha violato un tabù per il mondo arabo ed è rimasto ancor più isolato internazionalmente.

Insomma, a parere di molti politologi, avviene un errore dietro l´altro nella politica estera trumpiana e quest´ultimo, di cui ci occupiamo, sarà deleterio anche per Israele.

Infatti, il progetto di bloccare gli aspiranti nuovi protagonisti sulla scena del Medio Oriente, l´Iran e, sotto certi aspetti, la Turchia, a mezzo di un forte blocco costituito dai Paesi arabi, da Israele e dagli stessi USA, si è pietosamente frantumato con la drammatica guerra in Iraq e la sconfitta politica in Siria. L´errata e improvvisata politica americana ha avvantaggiato l´Iran ed è riuscita persino a spingere tra le braccia di Putin, contro cui si temeva entrasse in guerra per la nota vicenda dell´abbattimento del caccia russo da parte dei Turchi, un forte alleato della NATO, Recep Tayyip Erdoğan (il c.d. Sultano della Turchia). USA e Israele, in sostanza, perdono l´appoggio dei Paesi del Golfo Persico e dell´Europa con la decisione di spostare la capitale a Gerusalemme. L´equilibrio in Terra Santa era fragile, è vero, ma oramai, lo si poteva considerare congelato.

Rompere il ghiaccio può provocare, come già detto, guerre a catena, la necessità di riformulare lo scacchiere mediorientale, ove faranno la parte del leone Iran e Russia, e, quel che più impressiona e che non era entrato nei calcoli dei fautori della politica americana, una nuova compattezza del blocco di tutti i Paesi arabi, come mai si era visto negli ultimi decenni.

Infatti, in un´insolita dimostrazione di coesione i 57 Paesi dell´Organizzazione di Cooperazione Islamica (OIC), in riunione d´emergenza ad Instanbul, il 13 dicembre scorso, hanno chiesto che il mondo riconosca Gerusalemme Orientale come capitale dello Stato Palestinese, dichiarando nullo e senza effetto il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d´Israele da parte del presidente Donald Trump.

Certo che, così facendo, Trump isola sempre di più gli Stati Uniti, lasciando spazi al protagonismo politico di altri personaggi (come per altro verso aveva fatto Obama); alludiamo, in particolare, a Vladimir Putin, che, con un indice di popolarità superiore all´80%, ha annunciato giorni addietro che concorrerà alla rielezione come indipendente e non più come candidato del proprio partito “Russia Unita”. Questo vuol dire, ad un attento esame, che la preoccupazione dell´unità interna e del consolidamento della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), ovvero dell'organizzazione internazionale composta da nove delle quindici ex repubbliche sovietiche (tra le quali la Russia), passa in secondo ordine e che in una scala di priorità l´obiettivo principale è occupare lo spazio lasciato dagli USA nei punti strategici del pianeta.

Prove ne sono l´incontro a Sochi di Putin con Assad, in cui viene dato l´annuncio della fine delle vittoriose operazioni militari russe in Siria e la permanenza di Baššār al-Asad al potere, nonchè il precedente tour trionfale, sempre di Putin, attraverso i Paesi alleati in Medio Oriente (Siria, Egitto e Turchia).

La Russia di Putin non è più la vecchia nazione socialista dei tempi della Guerra Fredda, ma una nazione tecnologicamente forte, condotta da un leader capace, che - da quanto consta - sa occupare con intelligenza gli spazi lasciati dalla dottrina USA, e ora da Trump. E non solo, se, da una parte, Pechino sembra aver concluso, dopo i primi mesi di governo Trump, che la di lui presidenza potrebbe rappresentare per la Cina un insperato regalo (di Natale, dato il periodo in cui scriviamo), dall´altra, l’Europarlamento, che di recente ha approvato l’accordo con il Canada (CETA), sembra aver preso la propria strada, lanciando agli USA un messaggio molto significativo sul futuro dei reciproci rapporti. È poca cosa quanto sta avvenendo? No davvero.

“Make America Great Again” era un patto di Trump con gli elettori o solo uno slogan?

Per quel che si vede in politica estera: povera America, dalle stelle alle stalle!

G & G  ARNÒ

Ha collaborato Rosalba Ieraci Bio