Public Finance Corporation (PFC), un'agenzia di finanziamento governativa di Porto Rico non ha assolto al pagamento di 58 milioni di dollari

Porto Rico (Estado Libre Asociado de Puerto Rico) è in default. La conferma è giunta dal numero uno della Government development bank che ha dichiarato che quella di non onorare i propri impegni verso gli obbligazionisti "è stata una decisione che riflette le preoccupazioni serie sulla liquidità" del territorio Usa. Porto Rico non può rimborsare i 58 milioni di dollari che doveva ai detentori di determinati suoi bond e per la cronaca, dopo otto anni di recessione, è il primo default in 117 anni di storia come territorio statunitense e perdippiù, per il suo “status” particolare, al contrario degli altri stati americani, non può chiedere il concordato per proteggersi dai creditori.

Infatti, a seguito di un referendum popolare, con il 61,15% delle preferenze favorevoli, gli abitanti del luogo (3.749.009)  hanno scelto di divenire uno Stato Federato degli Stati Uniti d'America, che secondo i punti di vista conferirebbe all´Isola lo status di Commonwealth o come in molti sostengono quello di "Colonia de secolo XXI".

In seguito al mancato pagamento, Moody's ha subito sentenziato: "Porto Rico non ha le risorse per effettuare i pagamenti futuri sul debito” e procedendo sulla stessa linea le agenzie di rating credono che "questo sia il primo di vari default sul debito del Commonwealth". Nicholos Venditti, co-manager di Thornburg, ha spiegato a Barron's che "l'esito finale sarà decisamente peggiore di quanto visto fino ad ora. Questo è l'inizio della fine". Il governatore portoricano Alejandro Garcia Padilla aveva già riconosciuto in pubblico la gravità della situazione. Secondo l´agenzia Bloomberg i principali creditori di Portorico sono hedge fund e mutual fund quantificabili in circa 20 miliardi e 10 miliardi di dollari, rispettivamente. Il debito totale del Paese è addirittura pari a circa 73 miliardi di dollari. Una montagna definita "impagabile" dal governatore Alejandro García Padilla, che sta preparando una proposta di moratoria i cui dettagli sono attesi per il primo settembre prossimo.

Ma come Porto Rico potrà venir fuori da questo indebitamento colossale?

La strategia è apparsa a giugno nel cosiddetto Krueger report. Questo documento spiega come il governo taglierà i costi e aumenterà le tasse in cambio di una parziale ristrutturazione del debito. Il report propone i soliti rimedi e cioè forti tagli alla spesa e riforme radicali del mercato del lavoro per promuovere la crescita delle imprese, non escludendo, nel caso specifico, l'abbassamento del salario minimo del territorio per aiutare la crescita delle piccole e medie aziende.

Comunque vadano le cose il simpatico Paese caraibico per ottenere nuovo credito oramai dovrà sudare le proverbiali sette camicie e chissà a che tassi mentre una cosa appare certa: il problema non si risolverà semplicisticamente riducendo la spesa pubblica e aumentando le tasse.

Questa è una vecchia ricetta i cui risultati non sono confortanti, tutt´altro. Basta guardare in casa nostra dove la spesa pubblica da circa un ventennio è stata soggetta a tagli senza però intervenire sugli sprechi e sui privilegi. I tagli non sono stati operati criteriosamente e le politiche d´austerità hanno purtroppo abbattuto la crescita dell´economia favorendo la disoccupazione.

La spesa pubblica italiana, per esempio, è in linea, secondo le statistiche, con la media dei paesi europei. Ne consegue che non è un rimedio valido tagliare la spesa pubblica ma è necessario riqualificarla. Secondo noi la crisi che attanaglia i Paesi in difficoltà come la Grecia, Portorico e perché no, anche l´Italia non è solo crisi finanziaria. Quest´ultima è una conseguenza di una causa ben precisa; il famelico modello economico e produttivo fondato sulla crescita spropositata della produzione di merci e prodotti. Solo che a questo punto sorge una domanda: È giusto che siano i risparmiatori a pagare i debiti che gli Stati hanno contratto (incentivi, esenzioni, agevolazioni etc.) per consentire che le grandi aziende potessero vendere tutta la loro produzione? Giusto sarebbe che a pagare i conti siano le classi sociali che hanno lucrato con la vendita dei loro prodotti ma nella pratica questa soluzione non si verifica perchè è il mondo economico che fa le regole e non le fa di sicuro contro i propri interessi. A questo punto e per concludere possiamo affermare: una politica economica e industriale che miri alla riduzione dei consumi inutili, all´eliminazione degli sprechi e alla riorganizzazione dei servizi e delle strutture basterebbe di per sè ad aggiustare i conti consentendo ai paesi industrializzati di uscire dal vortice dei debiti che li risucchia. Ma c´è questa volontà politica, dal momento che la politica dipende dalla finanza o la follia della finanza ci porterà tutti e stavolta, politica compresa, allo sfacelo?