Basta considerare alcuni dati ufficiali: gli italiani non investono nella cultura; non leggono libri e giornali come negli altri Paesi europei; non studiano con la stessa intensità di prima; i governi, passati e presenti, hanno tagliato radicalmente, tra l’altro, i finanziamenti per ricerca, istruzione e cultura in generale.

In queste condizioni, pochi sono coloro che si dedicano agli studi superiori in quanto una laurea non garantisce un futuro dignitoso; poche sono le eccezioni di laureati a pieni voti; pochissime le eccellenze in campo scientifico - culturale. E per di più queste ultime fioriscono per meriti propri piuttosto che a causa degli studi eseguiti con i programmi in atto (es.: la “laurea breve” etc.), che non hanno apportato i risultati desiderati, tant´è che non sono aumentati né i laureati né la qualità degli stessi.

Senza considerare che se per caso spuntano eccellenze un po' qua e un po´ là, esse emigrano all’estero, dove i meriti e non le amicizie hanno ancora un valore soprattutto nel mercato del lavoro specializzato.

Che strano il nostro Paese! Esporta cervelli e importa manovalanza a basso prezzo, ma ad alti costi per lo Stato; non investe nella cultura e nella valorizzazione di chi emerge negli studi e nell’insegnamento, ma spende quattrini a carrettate per mantenere in confortevoli sale d’attesa manodopera non qualificata che arriva da ogni dove; beneficia gli altri Paesi accogliendo a spron battuto i loro cittadini che emigrano alla ricerca del boccaccesco Paese di Bengodi e danneggia, di converso, se stesso privandolo delle tradizionali strutture culturali e delle eccellenze che da esse potrebbero venir fuori.

A questo punto non stupisce il fatto che la cultura nell’ottica dei politici possa apparire come il “ramo secco” dell’azienda Stato.

Ma ci si domanda: non sarà che essa non sia valorizzata dal momento che non è proprio di casa tra i banchi dei governi? È quasi certo, stando alle statistiche e alle evidenze!

Infatti, agli inizi del 1900 i laureati in Parlamento erano il 79%, percentuale che nel decorrere degli anni è andata sempre più in giù fino a toccare il limite di 68,73% nel 2016 per scendere ancora ai nostri giorni.

Ai soli fini statistici ministri con licenza di terza media, ad esempio, ne abbiamo avuto in passato e anche ai nostri giorni e nei curricula di 8 ministri ed ex ministri italiani, che ricoprono o hanno ricoperto posizioni rilevanti nella guida del Paese, di laurea non c'è nemmeno l'ombra.

In altre parole, viviamo in una società postmoderna, “liquida” per come è stata definita da Zygmunt Bauman, in cui la mediocrità è l’unica nota distintiva.

E poi se un certo numero di giovani, di locutori, di presentatori televisivi e di politici sgrammaticano a tutto spiano, a pochi importa. I più neanche se ne accorgono!

Non a caso, sono circa sei milioni, pari al 12% della popolazione, gli italiani totalmente analfabeti o senza alcun titolo di studio contro il 7,5% dei laureati, posizionando così l’Italia come fanalino di coda tra i fra i 30 Paesi più istruiti.

L’Italia, ahimè, culla della civiltà, della cultura e delle arti, anche secondo dati Ocse che accertano il possesso di un titolo di istruzione superiore nella forza lavoro 25-64 anni, su 11 Paesi considerati, è all'ultimo posto per addetti alla produzione di merci e servizi in possesso di qualifica universitaria e oltre.

Poveri noi, come siamo caduti in basso!

Se non si reagisce subito puntando sulla conoscenza, che rappresenta il plusvalore del capitalismo post-industriale si è destinati a diventare un Paese, chi l’avrebbe mai detto, allevatore di asini, da cui tutto sommato potrebbe scaturire, visto che la cultura non interessa un fico secco a chi ci governa, un’entrata economica importante con grandi riconoscimenti internazionali a livello rappresentativo. 

Così come esistono le repubbliche delle banane, perché non fondare quelle degli asini? Quantomeno non saremmo in ultima posizione!

di Redazione