Ci ucciderà? Non ci ucciderà? Finirà o no entro l’estate?

Uccide solo il 3-4% dei malati, mentre il Sars arrivava quasi a 10%.

Le alte temperature proteggono dal virus.

Agente biologico diffuso da una potenza straniera in Cina.

Le navi da crociera alla fonda in rada, senza permesso di attraccare nei porti.

Altro che navi in quarantena: 194 migranti verso Messina…

Nel Nord Italia vige lo stato di allerta massima. 

Virus, Capuozzo: '"Siamo diventati il Circo Italia".

L’Austria blocca i treni italiani e così avanti…

Queste le domande, le illazioni e le notizie che la stampa diffonde sul temuto Coronavirus COVID – 19.

Tanta carne al fuoco per i mass-media, che  - come oramai noto - hanno un effetto diretto nel condizionare gli atteggiamenti e le credenze del loro pubblico, per cui cercheremo di disquisire sulla materia in oggetto senza tenere in cosiderazione quel che ci viene raccontato di qua e di là, ma basandoci esclusivamente sui fatti.

Incominciamo col sostenere che le misure contro il contagio messe in atto dal nostro governo sono purtroppo tardive epperciò non preventive. È come chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Ciò stante, la salute pubblica è oramai in serio pericolo e ciò comporta una sfilza di conseguenze che ci pare opportuno rilevare nel corso di questa breve disamina.

È bastata, infatti, una morbosa epidemia virale per dare uno shock inaspettato all'economia cinese, probabilmente solo temporaneo, in quanto in breve essa si riprenderà, stanti le solide basi su cui si poggia, ma quel che più potrà notare un attento osservatore è che è stata messa in seria discussione l’intera crescita globale interrompendo la filiera delle forniture mondiali e causando giusta paura e apprensione nei più significativi mercati economici del pianeta.

Ma se la Cina - finito il contagio - si recupererà, cosa sarà dell’Europa, la cui economia è cucita a filo doppio con quella Cinese e che, per converso, non è supportata dalla solidità di quest’ultima?

Risponde a tal proposito il Credit Suisse, per come riportato da Gianluca Zapponini : “Il calo delle esportazioni verso l’Asia e le interruzioni delle catene di fornitura porteranno probabilmente a una flessione delle indagini sul settore manifatturiero. La Germania è molto esposta ad entrambi”. Tuttavia, “riteniamo che questa interruzione si rivelerà temporanea e l’attività dovrebbe quindi trovare un nuovo vigore una volta che le restrizioni sull’attività cesseranno”.

Bene, a questo punto, però, sorgono alcuni aspetti preoccupanti, in particolare, per il futuro del nostro Paese ed essi sono: la fragilità dell’economia globalizzata, la precarietà del sistema e l’assoluta dipendenza dei Paesi meno forti (i più) dai pochi colossi economici, come appunto la Cina (da anni oramai prima potenza mondiale).

La globalizzazione minaccia seriamente le economie locali e accentua pericolosamente il divario tra le economie forti e quelle deboli. Questo è un fatto certo! Tanto per fare un esempio, in casa nostra notiamo: già nel 2012 il “made in Italy” aveva perso il 6% del suo fatturato e l'export si era ridotto dell'8,2%” e non aggiorniamo la statistica ad oggi per un sentimento di vergogna: sia quella che proveremmo noi sia quella che alimenteremmo tra i lettori! 

Ci sono, invece, i paladini del globalismo che vedono in esso la salvezza delle nostre industrie e dei nostri marchi affermando che la Repubblica Popolare Cinese rappresenta, tra l’altro, il 18% delle vendite di Gucci e il 14% di quelle di Bulgari e Prada, che ha persino deliberato di quotarsi in Borsa a Hong Kong.

Ma cosa vorrebbero darci da bere questi signori, improvvisati economisti, se i grandi marchi, di italiano, oramai,  portano solo il nome e nulla più?

Di recente abbiamo pubblicato un articolo sulla fine del Made in Italy, che rappresenta la voce più importante dell'esportazione italiana e dei nostri grandi marchi: Cavalli è passata agli arabi, Versace agli USA, Crizia alla Cina, Valentino al Katar, Bulgari, Fendi e Gucci alla Francia etc. etc.

Questi sono, in parole povere, i nefasti effetti della globalizzazione e non quelli ottimistici sberciati dagli incantatori di serpenti al servizio dell’alta finanza.

Non a caso un vero economista, il premio Nobel Joseph Stiglitz, nel libro “La globalizzazione e i suoi oppositori” critica duramente l’impostazione neoliberista che la globalizzazione economica ha fatto propria grazie principalmente alle politiche ideologiche dell’FMI (Fondo Monetario Internazionale) che, tutelando esclusivamente gli interessi del capitale finanziario, hanno accentuato il divario globale tra paesi ricchi e poveri.

Ci preme rammentare che è in questo contesto globalistico che l’Italia è stata svenduta al capitale internazionale. Abbiamo svenduto o ci hanno costretto a svendere il meglio delle nostre industrie, nell’indifferenza assoluta e colpevole dei nostri governanti.

Ci restano ancora gli occhi per piangere se non ce li faranno vendere i nuovi trafficanti di organi e, infine, l’anima.

Sì quella, però, "i ladroni del mondo" - pardon - "i padroni del mondo" non ce la faranno a comprarla, così come non ci è riuscito neanche il diavolo nel film: “Totò al giro d’Italia”.

Noi non venderemo l’anima!

Essa non è in vendita!

È l’ultima cosa sacra e immortale che ci rimane assieme all’orgoglio d’essere italiani, ma attenzione: "Hannibal ad ianuas!" (Annibale è alle porte!).

Infatti, il tempo è finito e tra governicchi, meschini intrighi della politica e ignobili attaccamenti alla poltrona - vicende tragicomiche di cui il nostro Paese è abile regista - ci dobbiamo dare finalmente una solenne scossa se vorremo sopravvivere come popolo e come nazione e non trasformarci in una semplice espressione geografica, così come cogitava un certo Klemens Wenzel Lothar, principe di Metternich-Winneburg, che aveva nell´immobilismo il suo cardine ispiratore.

Abbiamo fatto per ironia della sorte l´Europa, rifacciamo adesso l´Italia che è stata fagocitata e asservita da questa Europa! Svegliamoci al grido: "Italia, Italia", che non dev´essere un´espressione esclusiva del tifo calcistico, ma anche di amore e di  orgoglio per il nostro martoriato Paese.

Se pertanto non faremo un dietro front indirizzandoci progressivamente e sapientemente verso la deglobalizzazione, se non ci doteremo di un governo forte, competente e stabile, che si prenda cura delle nostre tradizioni e dei nostri interessi, non più al servizio degli stessi padroni o di chiunque altro e se non smetteremo di emigrare da noi stessi, rinunciando a quanto di buono abbiamo conquistato fino ad oggi a costo di enormi sacrifici, faremo, ahimè,  la fine dei topi di Hamelin, che - incantati dal suono magico del pifferaio - morirono tutti annegati nel fiume Weser.

G.&G.Arnò