L´ombra di Erdogan sui Balcani ed Europa dell´Est

Giordano Cevolani

A chi segue con interesse la politica estera del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e i suoi spostamenti fuori dalla Turchia, non sono passate inosservate le sue visite nei Balcani, segnatamente in Bulgaria, Serbia, Albania e più recentemente in Bosnia, dove a Sarajevo 15mila “turchi d’Europa” con sventolio di bandiere turche e bosniache hanno urlato ‘Sultan Erdogan’ e dove proprio il ‘nuovo sultano’ ha fatto capire senza mezzi termini all’Europa che può destabilizzarla all’istante, facendo leva sulla sua influenza nei Balcani occidentali.

Fino a un secolo fa Sarajevo era tra le città principali dell’Impero ottomano e ancora oggi gli stretti legami storici, culturali ed economici fanno sì che Ankara consideri la regione parte integrante della sua sfera di influenza. Per farlo, Erdogan sfrutta organizzazioni della società civile, partiti politici, investimenti. E naturalmente la sua figura di paladino dell’islam. La Turchia può contare, oltre che sul partito musulmano bosniaco, anche sull’Unione dei democratici euro-balcanici (Uebd), la lobby finanziata da Ankara che ha organizzato la manifestazione di maggio a Sarajevo. Altre simili sono attive in Kosovo, Albania, Macedonia e Bulgaria, che sono vere ‘teste di ponte’ con cui Erdogan esercita la sua influenza nella regione. Tra quelli che alcuni esperti hanno già definito “paesi satelliti” di Ankara c’è il Kosovo. Lo scorso marzo, i servizi segreti turchi arrestarono nel piccolo stato balcanico sei persone accusate di avere sostenuto il colpo di stato contro Erdogan del luglio 2016. Il governo di Pristina dichiarò di essere all’oscuro dell’operazione, ma i legami stretti tra Erdogan e il presidente kosovaro Hashim Thaçi destano non pochi dubbi.

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e sua moglie Emine a Sarajevo © LaPresse

Una pioggia di investimenti stanno arrivando pure in Albania. L’Agenzia turca di cooperazione e coordinamento (TİKA) ha avviato il ripristino di cinque siti dell’era ottomana in Albania, come ha riferito il 3 marzo l’agenzia statale Anadolu. Secondo una dichiarazione rilasciata dall’ufficio di TİKA nella capitale albanese di Tirana, l’agenzia “continua a fornire assistenza tecnica e progetti a beni storici e culturali comuni con l’obiettivo di proteggerli e trasferirli alle generazioni future”. La Grande Moschea “Namazgja” a Tirana costa circa 30 milioni di euro è finanziata dalla Presidenza religiosa degli affari religiosi ‘Diyanet’ e avrà spazio sufficiente per 5.000 persone in preghiera, su un’area di 20.000 metri quadrati. Fino ad ora, i credenti pregavano fuori dalle porte delle moschee, a causa dei piccoli spazi. La moschea farà parte di un complesso islamico nel cuore di Tirana, che ospiterà sale per conferenze e mostre, biblioteche e musei. Il sito si trova vicino a cattedrali cattoliche e ortodosse.

La Grande Moschea “Namazgja” a Tirana, Albania, la più grande moschea dei Balcani, considerata un ‘regalo’ di Erdogan

In questo pellegrinaggio nato solo apparentemente in chiave ecumenica come incontro tra fratelli musulmani sparsi nei Balcani ma che invece nasconde mire di espansionismo che potremmo definire ‘neo-ottomano’, non poteva mancare la tappa in Moldova dove tra l’altro risiede una comunità di turchi ortodossi: i gagauzi.

A metà ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è arrivato infatti in visita ufficiale in Moldova su invito dell'omologo moldavo, Igor Dodon. Oltre all'incontro con il capo dello Stato Dodon, il presidente turco ha incontrato a Chisinau anche il capo del governo, Pavel Filip. La stampa di Chisinau aveva scritto in precedenza che durante la visita di Erdogan sarà inaugurato un nuovo edificio della presidenza della Moldova, la cui riparazione è stata interamente finanziata dalla Turchia come segno di amicizia tra i due Paesi. Il presidente turco ha poi avuto il 18 ottobre una visita anche nella regione della Gagauzia, un’enclave moldava popolata da turchi cristiani.

Il governatore della Gagauzia, Irina Vlah tra il presidente della Moldova, Igor Dodon e quello della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, in visita in Gagauzia il 18 ottobre 2018

I Gagauzi sono i discendenti di tribù turche installatesi nel Medio Evo a sud del delta del Danubio, e convertitesi, allora, al cristianesimo ortodosso. In seguito, spinti dalla Russia dello Zar Alessandro I, si trasferirono all’inizio del XIX secolo in un'area della Bessarabia – attualmente compresa nella Moldavia sud-orientale - che rappresenta ancora oggi la loro zona di principale insediamento. Nel 1812 la Bessarabia, fino allora parte del Principato di Moldavia, venne ceduta all'Impero russo dopo la sconfitta degli Ottomani nella guerra russo turca del 1806-12. Con l'arrivo dei Russi, le popolazioni nomadi nogai che abitavano nel Budjak, la parte meridionale della Bessarabia, vennero scacciate. A ripopolare il territorio vennero chiamati dalla Bulgaria orientale i Gagauzi, che tra il 1812 e il 1846 s'insediarono nelle aree dove poi sorsero i villaggi di Comrat, Avdarma, Cișmichioi, Congaz e Tomai.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, l’omologo moldavo Igor Dodon e Irina Vlah, governatore dell'unità territoriale autonoma della Gagauzia, hanno "concordato" il 18 ottobre l'adozione di misure concrete per far sì che lo stato autonomo della regione di Gagauz sia pienamente funzionale. Nel 1990, a seguito dell’indipendenza della Moldova e della proclamazione del moldavo come unica lingua del paese, i gagauzi annunciarono la costituzione di una Repubblica socialista sovietica di Gagauzia con l’obiettivo di mantenere la regione all’interno dell’orbita dell’Unione Sovietica. Una mossa che le autorità di Chisinau considerarono illegale e che riuscirono a evitare fornendo un’ampia autonomia regionale alla Gagauzia, sancita da un accordo siglato nel 1994 a evitare un conflitto che appariva ormai imminente. Oggi la regione gode dello status di Unità territoriale nazionale autonoma e ha la possibilità di dichiarare la secessione della Moldova qualora questa si unisse alla Romania.

L'autonomia della Gagauzia è garantita dalla Costituzione moldava e regolata dal Gagauz Autonomy Act del 1994. Infatti nel 1994 il Parlamento della Repubblica di Moldova ha ratificato la legge sullo statuto speciale della GAGAUZIA (Gagauz Yeri) che viene riconosciuta come un'unità territoriale autonoma, con uno status speciale come forma di autodeterminazione dei gagauzi che costituisce parte integrante della Repubblica di Moldova; e che in caso di cambiamento dello status di quest’ultima come stato indipendente, il popolo della Gagauzia avrà il diritto di autodeterminazione ‘esterna’.

Perché Erdogan si sta muovendo così decisamente per la causa gagauza? L'insistenza con cui la diplomazia turca ha perorato la causa dei gagauzi presso le autorità moldave rivela palesemente le mire di un governo guidato da un partito islamista l'Akp di Erdogan - che da tempo si fa promotore delle istanze autonomiste della popolazione. Il presidente moldavo Dodon, ben conscio che non tutte le promesse fatte alla Gagauzia in tema di larga autonomia non sono state mantenute, ha annunciato che i gagauzi sono di casa in Moldavia e ha promesso il suo appoggio per includere nella costituzione della Moldova l’adozione di quelle misure concrete disattese dal parlamento moldavo. Nonostante le sue osservazioni sull'autonomia della regione di Gagauz, il presidente turco ha sottolineato che l'integrità territoriale della Moldavia è "di vitale importanza per la Turchia".

Erdogan inaugura la casa della cultura a Comrat, capitale della Gagauzia

Cristina Pereteatcu, direttrice di Amnesty International Moldavia, ha dichiarato che l’organizzazione in difesa dei diritti umani ritiene che 48 cittadini turchi residenti in Moldova siano sotto sorveglianza da parte delle autorità di Chisinau e che potrebbero condividere la stessa sorte dei sette funzionari turchi espulsi il 6 settembre di quest’anno, impiegati nella catena di scuole di Fetullah Gulen, un predicatore musulmano e politologo, precedentemente esiliato dalla Turchia, la sua patria. Si tratta di insegnanti e funzionari che avevano chiesto asilo a Chisinau, sostenendo che, in patria, sarebbero stati soggetti a persecuzioni. Inutile dire che l’accaduto è stato fortemente criticato da Amnesty International, che ha commentato il fatto affermando che, nel compiere queste azioni nei confronti di individui che avevano chiesto protezione al Paese, le autorità moldave hanno ignorato i loro obblighi internazionali in materia di diritti umani

L’obiettivo di Erdogan di rimettere piede nei Balcani e in Moldova dove gli ottomani dopo la caduta di Costantinopoli sono stati per secoli ‘di casa’, appare del tutto provocatorio di fronte al rifiuto dei suoi comizi in Germania, Austria e Olanda da parte di questi Paesi dopo il referendum di aprile 2017 sul rafforzamento dei suoi poteri. In primo luogo Erdogan sta cercando il sostegno dei milioni di turchi che vivono in Europa (la cosiddetta diaspora turca di più di tre milioni di elettori, 1. 4 milioni solo in Germania) perché, anche a causa delle opposizioni interne, ha bisogno di quei voti per ottenere un risultato elettorale che gli consenta di proseguire la sua opera di islamizzazione del Paese. In secondo luogo ha voluto lanciare un messaggio non rassicurante alla stessa Unione Europea dichiarando che la Turchia è pronta a sostenere i paesi balcanici e la stessa Moldova con investimenti miliardari. Così Erdogan investe e costruisce per accaparrarsi consensi come a voler dire se ‘l’UE non vi vuole ci siamo noi’. E l’UE farebbe bene a prendere sul serio questi messaggi.