di Bruno Fulco

Dalla finestra su Roma oggi si vede solo un gran polverone. Una velo grigio che tutto oscura e, che a distanza di due settimane non accenna a liberare l’orizzonte ad uno sguardo sereno sul futuro. La rilassatezza d’agosto che avvolge le ferie degli italiani non poteva concludersi in maniera peggiore. Alle 11.36 del 14 agosto, oltre 200 metri del viadotto sull'A10 che collega Ponente e Levante a Genova sono crollati abbattendosi sulla zona sottostante. Una tragedia che ha introdotto il paese nel peggior ferragosto di sempre. Il dolore per le vittime e per tutti i loro familiari che si sono visti stravolgere la vita in un battito di ciglia, ha spento sul nascere qualsiasi forma di entusiasmo. Una tragedia d’altri tempi che ha lasciato sgomenti tutti quegli italiani che pensavano che in un paese industrializzato come il nostro, certe scene potessero vedersi solo al cinema nei film intrisi di effetti speciali di genere catastrofista.

Purtroppo invece è stato come prendere coscienza di una cruda e dura realtà. Un evento che a Roma come ovunque in Italia, ha catalizzato ogni tipo di discorsi e riflessioni. A lasciare ognuno di noi senza parole, ha concorso il significato dell’autostrada come icona. Ad essere colpito è stato il lungo nastro d’asfalto che unisce il paese, elemento che collega i diversi aspetti culturali delle nostre tradizioni. Per certi versi una garanzia alla nostra unione, che impedisce la disgregazione dei rapporti umani segnati dalle distanze imposte dalla modernità. Un raro momento di vicinanza per questo paese dilaniato dalle polemiche che ormai è capace di trovare una breve unione soltanto nel dolore.

Come sempre però questo senso di fratellanza non è riuscito a contenere in se la tragedia che dopo non molto è sfociata nel dibattito mediatico, mettendo a nudo la natura, ormai squallida, del nostro sentimento popolare. Ad un tratto cancellato il pensiero per vittime e superstiti, la tragedia di Genova si è trasformata nell’ennesimo campo di battaglia sul quale combattere la guerra del consenso politico senza esclusione, ne di colpi, ne di cattivo gusto. Quello a cui si è potuto assistere nei giorni seguenti il disastro ligure, ha fornito uno spaccato dello stato attuale della morale italiana. D’Altronde in un paese attualmente quasi incapace di dialogo, che si scagliassero l’una contro l’altra le forze politiche addossandosi responsabilità e inadeguatezza dei modi di operare, era quasi prevedibile.

Anche i media però hanno dato il peggio di loro, sfornando articoli talvolta raggelanti per la freddezza dei contenuti. Disamine sulla responsabilità dello stato o del gestore del contratto di Autostrade, analisi di borsa sull’andamento delle azioni del gruppo o sull’opportunità di ritirare o meno le concessioni. Diatribe sulla statalizzazione o meno di settori di interesse pubblico. Attacchi ciechi, in nome della contesa ideologica perpetrati senza il minimo senso del pudore davanti al dolore di una città intera, triste saluto alle vittime ancora in attesa di sepoltura. Un alacre lavoro di ricerca d’archivio, volto a coinvolgere nelle responsabilità di un’opera pubblica in piedi da decenni, anche chi governa da pochi giorni.

Sotto il cappello della finalità giornalistica, sono state troppe le penne e le testate a pubblicare articoli che mal celavano il ruolo di difensori d’ufficio. In un momento in cui la deontologia professionale avrebbe suggerito il massimo distacco delle parti, sono stati in troppi ad ignorare certi comportamenti. Chissà come si sarebbe schierato il mondo dei media se al posto di Atlantia S.p.A e del gruppo Benetton, fossero stati altri gli imprenditori conduttori del contratto dell’autostrada coinvolta. Sta di fatto che il pranzo di Ferragosto in casa Benetton all’indomani della tragedia, rimane un avvenimento fuori luogo che sono stati troppo pochi a stigmatizzare. Rimane assordante il silenzio di tutti gli altri, che in diverse circostanze e per altri nomi avrebbero sconfinato in esercizi di morale senza fine, battendosi il petto sulla pubblica piazza.

Quello che lascia più perplessi però è che a questa diatriba squallida giocata sulla pelle di vittime innocenti, abbiano partecipato in larga quota le persone comuni. Persone che davanti allo scempio inflitto ai cittadini Genovesi si sono riversate in massa sui social network, scannandosi tra loro per motivi ideologici. La parte più vomitevole di questa caduta morale, è stata quella che ha fatto da contorno alla giornata in cui si sono celebrate le esequie delle povere vittime. Nella giornata più triste anche la gente comune, esercitando una sorta di tifo politico, si è soffermata in maniera strumentale su particolari utilizzati principalmente per gettare discredito sul nemico politico, perdendo totalmente il senso della pietà e dell’umanità.

A parte quello delle famiglie direttamente interessate, questo rimane forse il dolore più grande. Vedere i figli dell’Italia scagliarsi l’un l’altro come cani rabbiosi, ha segnato la vittoria della politica e del suo fine attuale, quel “dividi et impera” di millenaria memoria che condanna alla sottomissione dei popoli. Per il resto tutto scorre stancamente, in attesa che i ritmi di sempre si riprendano la quotidianità.

Intanto prima di riporre il telecomando del climatizzatore nel cassetto, un meteo impazzito annuncia in arrivo l’ultima ondata di caldo africano. L’oppio degli italiani assicurato dal campionato di calcio è di nuovo in distribuzione, lentamente entrerà in circolo con tutti i suoi riti tra amici e tifosi, sollevando le coscienze dai loro anfratti più bui. Roma assiste silenziosa ed impotente a tutte le vicende italiane, partorite proprio nel suo ventre contorto.

Sempre ammantata da una bellezza immutabile, anche quando è dismessa e avrebbe bisogno di più cure, Roma generosamente non scontenta mai chi viene a trovarla in ogni stagione, ma di questo si potrà riprendere a parlare dopo. Si ma dopo cosa? In questo momento non è chiaro a nessuno, tanto che chiudendo la finestra su Roma si intravede di nuovo una coltre di polvere. Arriva dalla Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, proprio di fronte al Campidoglio.

Dopo essere stato restaurato nel 2014 il suo tetto è crollato, trascinando con se un pezzo del nostro patrimonio artistico e della nostra storia. La chiesa del 1663 avrebbe riaperto a giorni per essere utilizzata nella celebrazione di matrimoni. Un altro crollo, a Roma, nel cuore della burocrazia. Forse un segnale, un monito, un invito a sbrigarsi perché questo paese non può continuare a crollare ancora.