Montaldo con sua moglie Vera Pescarolo Montaldo e Silvia Giulietti 

Il giorno 9 Maggio nell’ambito del XIII Film Festival organizzato dal Dams Università Roma Tre presso il Teatro Palladium di Roma é stato proiettato il documentario “La Morte Legale: Giuliano Montaldo racconta la genesi del film Sacco e Vanzetti” di Silvia Giulietti e Giotto Barbieri.  Di seguito ha avuto luogo la master class con il grande regista Giuliano Montaldo. Alla fine dell’evento molto partecipato dal pubblico e moltissimi studenti, Paolo Carlucci ha intervistato il Maestro Giuliano Montaldo.

Maestro Montaldo, su Sacco e Vanzetti sono stati fatti diversi documentari storici, secondo Lei, il documentario LA MORTE LEGALE, da cosa si differenzia dagli altri, lo trova più vicino al suo pensiero?

Bè, insomma raccontare la genesi di questa avventura non è stato facile, ripeto quello che dico anche nel documentario: fare un film ambientato negli Stati Uniti del 1920-1927, è un’impresa che fa tremare un produttore, perché non c’è più un mattone di quell’epoca.  Immagini quindi le difficoltá per trovare le ambientazioni, poi bisognava girare nelle carceri e gli americani non erano molto felici che si girasse quel film. Poi dopo è stato accolto molto bene. Infatti, negli anni ’70, grazie al film SACCO e VANZETTI c’é stata la loro riabilitazione in Massachusetts, il governatore di quello Stato, Michael Dukakis, ha riconosciuto la loro innocenza. Il documentario LA MORTE LEGALE, fatto dai bravi registi Silvia Giulietti e Giotto Barbieri, racconta questa avventura.

Lei ha sempre sviluppato temi contro l’intolleranza, se oggi dovesse girare un film quali temi affronterebbe?

 Sarebbe un tema su come viviamo. Oggi in Italia noi viviamo certe cose grazie al lavoro che fa la gente che arriva da fuori, gli emigranti che arrivano qui da vari Paesi. Mi sembra di rivivere quei momenti, quando gli italiani a milioni lasciavano l’Italia all’inizio del secolo scorso per cercare lavoro all’estero. Ma questi invece cercano la salvezza della vita per scappare. Certo qualche rischio lo si corre però c’è anche la possibilità di vederli lavorare, insomma lavorano, per noi, penso anche sfruttati, molto sfruttati.

Quale è il suo rapporto con i giovani di oggi?

Io vado molto spesso nelle scuole, e mi rendo conto che, se i giovani sono preparati bene dai loro professori su dei temi, anche dai film che vediamo, fanno delle domande molto pertinenti molto attente, e li vedo coinvolti. Direi che bisognerebbe lavorarci di più. D’altra parte direi che dovrebbero togliersi il dischetto che hanno messo nel computer perché lo reinseriscano nel cervello…perché non si può sempre chiedere al computer e niente a te stesso. Quale è la differenza tra una generazione e l’altra? Che una ha memoria e l’altra no. Io so come si chiama Garibaldi, Giuseppe, e non vado a cercarlo nel computer.

Quale è il suo sogno nel cassetto?

È un film che mi era stato proposto proprio da Allende, mi era arrivata una lettera da lui, dopo aver visto Sacco e Vanzetti. Mi aveva proposto di fare una storia sull’avventura Cilena, diciamo così, sul cambiamento politico, sul suo percorso. Ma non ce l’ho fatta. E poi un film che avrei voluto fare era su quello che Nerone ha insegnato anche a Hitler, cioè bruciare Roma e dare la colpa ai cristiani. Hitler ha fatto bruciare il Reichstag è ha dato colpa all’opposizione. Avrei voluto fare quel film.

Che tipo di rapporti ha avuto con il Brasile?

Rapporti bellissimi perché ho girato un film in Brasile  “Ad ogni costo“ con Edward G. Robinson, Klaus Kinski e Janet Leigh. Sono stato benissimo, proprio a Rio de Janeiro dove abbiamo fatto anche il carnevale, ma ricostruito, ovviamente solo una piccola parte, ma perfetto, con della gente simpatica, disponibile, divertente, molto allegra e molto amante del ballo e ho ballato anche io…

Paolo Carlucci