Con l’inizio del 2018 cominciano a circolare dati del sistema economico globale. E’ evidente che la globalizzazione “fai da te” lasciata nelle mani di interessi corporativi speculativi, senza la supervisione di Entità sovranazionali, ha creato disordine e povertà. Preso atto che sia il Fondo Monetario Internazionale, che la Banca Mondiale, o gli altri Organismi, che avrebbero il compito di vigilare,hanno fallito miseramente. Questo disordine non è voluto scientificamente, è figlio delle sindromi che hanno colpito quella sparuta pattuglia di detentori del potere economico mondiale, come la paranoia e la schizofrenia. I sintomi di cui soffrono sono palesi, è sufficiente prendere in esame i risultati dei loro comportamenti. I dati oggetto della riflessione sono stai forniti nei vari appuntamenti mondiali annuali di “grandi gruppi di interessi”, come il Forum di Davos, o da ricerche presentate da organizzazioni tipo Oxfam, o dal rapporto sulla disuguaglianza globale curato dagli economisti del progetto World Wealth and Income data base (Wid), le cui fonti sono l’ONU e la Banca Mondiale. Le ricadute sociali di questi sintomi sono le seguenti:
 L’uno per cento (1%) più ricco della umanità possiede più del restante novantanove per
cento (99%);
 Grazie alla globalizzazione dell’ultimo decennio oggi solo otto (8) uomini posseggono 426
miliardi di dollari, la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, ossia 3,6 miliardi di
persone;
 Secondo l’agenzia Bloomberg alla fine del 2017 le cinquecento (500) persone più ricche al
mondo hanno visto aumentare la propria fortuna di circa mille (1.000) miliardi di dollari;
 Tra il 2015-2016, dieci tra le più grandi multinazionali hanno realizzato complessivamente
profitti superiori a quanto incassato dagli Stati di 180 Paesi del pianeta, (Davos);
 Sette persone (7) su dieci (10) vivono in luoghi dove la disuguaglianza è cresciuta negli
ultimi decenni:
 Tra la fine degli anni ’80 e la metà di questo decennio, il reddito medio del dieci per cento
(10%) più povero della popolazione mondiale è infatti aumentato di 65 dollari, meno di 3
dollari l’anno, mentre quello dell’un per cento (1%) più ricco di 11.800 dollari;
 Un amministratore delegato delle cento società più capitalizzate in borsa guadagna in un
anno quanto diecimila (10.000) lavoratori delle fabbriche di abbigliamento delocalizzate in
Asia.
Nel trascorso mese di dicembre gli economisti, che pubblicano sotto la sigla WID, nel loro rapporto hanno detto chiaramente che “in questi ultimi anni di deregulation le grandi multinazionali hanno massimizzato i profitti ricorrendo a pratiche di elusione fiscale, usando il loro smisurato potere per condizionare la politica e, soprattutto, comprimendo i salari”.
Se poi andiamo ad analizzare le ricadute nei vari continenti emerge che le popolazioni che hanno subito i maggiori danni, sia sul piano ambientale che economico, sono quelle africane.
Un altro aspetto che la realtà sta sfatando è quello inerente la delocalizzazione industriale, che, mentre, impoverisce i Paesi avanzati dovrebbe facilitare la crescita dei Paesi in via di viluppo. Occorre chiarire cosa intendiamo per sviluppo, se intendiamo una crescita dei salari è giusto, ma se intendiamo il tenore di vita delle popolazioni oggetto di delocalizzazione, il dato non è più vero, perché, contemporaneamente, avviene un brusco innalzamento dei prezzi al consumo, che mentre sterilizza gli aumenti contrattuali di chi lavora, rende più povere quelle fasce di cittadini che non hanno beneficiato della globalizzazione.
Il 2018 deve essere l’anno in cui la gente normale, sana, cosciente che vive e muore, conscia che la giornata dura 24 ore, che la solidarietà è una forma di convivenza civile che apporta benefici ad entrambe le parti, deve cominciare a prendersi cura di questo un per cento (1%) di popolazione mondiale che è afflitta da psicosi che si manifestano con idee deliranti, tipo la mania di grandezza, da comportamenti caratterizzati da dissociazione psichica, che favoriscono la disintegrazione della personalità, insieme ad altri disturbi relativi al rapporto con la realtà. Una volta definita la diagnosi e le sue conseguenze, occorre che “la gente comune”, che quotidianamente deve fare in conti con le difficoltà che il sistema non riesce a superare, aiuti queste persone a riconquistare qualche forma di umanesimo, senza arrivare a quello religioso, magari fermandosi a quello che la trascendenza cerca nell’ultrasensibile.
La cura è rappresentata dal fare acquisire a questa sparuta pattuglia il concetto economico di “valore condiviso”, elaborato formalmente e ufficialmente da Porter e Kramer nel 2011. Valore condiviso si può intendere come “l’insieme delle politiche e delle pratiche operative che migliorano la competitività di un’azienda potenziando allo stesso tempo le condizioni economiche e sociali della comunità in cui opera”. La creazione di valore condiviso si focalizza sull’individuazione e sull’estensione dei collegamenti tra progresso economico e progresso sociale. L’idea sviluppata da Porter affonda le radici su una riflessione apparentemente semplice, ma nel profondo travolgente e rivoluzionaria “la redditività e la produttività aziendale debbono essere positivamente correlate alla qualità del contesto sociale nel quale l’impresa stessa opera”. Come le popolazioni oggetto di globalizzazione possono contribuire alla cura di queste minoranze sfortunate, assillate dalla ricchezza e dagli ingenti patrimoni da gestire? Attraverso due modalità: la prima, modificando parzialmente i comportamenti antropologici che corrono dietro tutte le campagne che il marketing di queste multinazionali programma; la seconda prendendo coscienza che in una “economia di carta e titoli” i cittadini, al contrario, hanno beni tangibili, dove vivono e abitano, e che la loro realtà è reale, non virtuale, la mattina al risveglio si trovano davanti sempre lo stesso scenario, dove si lavora, si produce, si spende. Forse occorre rivedere le modalità della spesa indirizzandola verso quei prodotti e servizi che creano economia a livello locale e servono meno alla contrattazione delle borse mondiali.
Un fatto nuovo danneggia, ulteriormente, la salute di queste persone, durante il 2017 hanno chiuso molti fondi di investimento, soprattutto “hedge fund”. Hanno ceduto le armi nomi che hanno fatto la storia del mercato del trading, che hanno egemonizzato le borse e le banche mondiali, che hanno fornito dirigenza alle banche centrali dei vari Paesi. Persone di grandi capacità intuitive, dai nervi saldi, con tantissime relazioni in grado di fornire scenari più adenti alle realtà oggetto di investimento, costoro oggi sono nel panico più totale a causa degli algoritmi. Algoritmi che gestiscono software in grado di analizzare in frazioni di secondo variazioni di qualsiasi tipo dei vari contesti, economico, sociale, strategico, e prendere le decisioni più vantaggiose in quel momento, in un istante la sensazione di onnipotenza mentre si guarda il mondo da un grattacielo scompare, viene vanificata da un software, il cui progetto magari è stato finanziato dallo stesso fondo. La globalizzazione ha permesso che emergesse questa ulteriore défaillance, non sono ancora sufficienti i limiti della nostra condizione umana che riscontriamo ogni giorno.